la storia
Il calcio infinito di Kazu Miura
A 55 anni, l’attaccante ha appena firmato un nuovo contratto da professionista sbriciolando l’ennesimo record di longevità. Attorno a lui è cambiato tutto: ora il Giappone esporta talenti, eppure continua a coccolarlo come un re
Quando Kazuyoshi Miura dava i primi calci al pallone, il massimo campionato giapponese era ancora di dilettanti e le sue squadre si chiamavano Mazda, Hitachi o Toshiba come i vari settori dell’industria trainante del paese. All’epoca i bambini non potevano nemmeno sognare con Holly & Benji, perché la storia di Oliver Hutton era la sua – parola di Yoichi Takahashi, fumettista del manga originale Captain Tsubasa – che a 15 anni mollò tutto e insieme al fratello comprò due biglietti di sola andata per il Brasile. Obiettivo: diventare un calciatore vero, senza piani b.
Gli è andata discretamente bene. E non ha più smesso: 35 stagioni da professionista, l’unico nella storia a scendere in campo nell’arco di cinque decadi, il più anziano di sempre a segnare (a 50 anni e 14 giorni) e giocare in un campionato professionistico. “Penso che non lascerò mai questo sport”, Miura dichiarava alla Fifa qualche mese fa. Questa settimana, dopo 17 stagioni, ha lasciato invece lo Yokohama Fc per iniziare una nuova avventura in prestito ai Suzuka Point Getters, squadra di quarta divisione giapponese. Il prossimo 26 febbraio l’attaccante compirà 55 anni. E la sua ultima partita nella J1 League – la Serie A locale – risale appena allo scorso maggio. In campo, fra chi potrebbe essere suo figlio o nipote, non lo si nota nemmeno subito: l’attaccatura dei capelli da far invidia a molti ventenni e giusto qualche ruga sorniona, tatuaggio del tempo.
In patria è una leggenda, King Kazu. Ma più dell’aura del fuoriclasse ha quella dell’ultimo samurai, testimone indefesso di una transizione senza precedenti. Il solo ad aver giocato contro Zico, Schillaci e Iniesta. Già nel 1990 – ora non è più così facile buttarsi alla cieca e finire al Santos – tornò dal Brasile da star. E un paio d’anni più tardi vinse la Coppa d’Asia insieme all’edizione inaugurale della pro-league nipponica: saranno le uniche della sua carriera. Gli sponsor lo spingeranno fino al Genoa. Dove sarà chiara la dimensione tecnica del calciatore: più dei record – primo giapponese a giocare e segnare in Serie A – Miura verrà ricordato fra i ‘fenomeni parastatali’ della Gialappa’s di metà anni Novanta.
Tant’è che quando il Giappone centra la sua prima storica qualificazione ai Mondiali, Francia 1998, il ct Okada decide di lasciarlo a casa perché “troppo vecchio” (!). Sono già altri tempi: quelli di Nakata – look che fa tendenza e scudetto alla Roma –, della prima generazione cresciuta fra i professionisti e con le infrastrutture di chi si prepara a ospitare la Coppa del mondo.
In quel 2002, Miura è ormai un dinosauro da qualche gol a stagione. E lì si congeleranno le sue lancette. Quelle del calcio giapponese invece corrono forte: fino a trent’anni fa i professionisti nipponici in Europa si contavano sulla punta delle dita – il pioniere dei pionieri fu Yasuhiko Okudera, in Bundesliga dal 1977 all’86 –, oggi sono oltre 450 di cui la metà in Germania. Ma Kazu rimane un simbolo: “Quando gioca lui vendiamo il doppio dei biglietti”. Anno dopo anno il suo talento più formidabile si rivela, fra articolazioni d’acciaio e innata resistenza agli infortuni. “Se mi capitano”, ha ammesso in una recente intervista alla Bbc, “ora mi serve più tempo per recuperare rispetto a un ragazzino, però li supero sempre”. Mettiamoci pure un ferreo regime di allenamento, più la nomea di gentiluomo sul campo: ed ecco che Miura, fascino sempreverde, assurge quasi a moderno osservatore del bushido – il codice d’onore dei samurai.
Diceva Hokusai, il più celebre artista del periodo Edo: “A ottant’anni avrò fatto progressi ancora maggiori; a novant’anni sarò in grado di penetrare nel mistero delle cose; a cent’anni sarò giunto al livello del meraviglioso e quando avrò cento e dieci anni, che si tratti di un punto o di una linea, tutto sarà vivo nei miei disegni”. Il vecchio Kazu ne ha elaborato la sua personalissima versione: “Mi diverto ancora a giocare a calcio. Davvero, più oggi di quand’ero in Brasile”.