Basta accanirsi contro Djokovic
La sua difesa sarà pure pasticciata, ma la forza bruta australiana è un surrogato della “legge uguale per tutti”
La legge “deve” essere uguale per tutti, a proposito del caso Djokovic e dell’intolleranza di principio, ideologica, verso un campione assoluto che chiede per sé un’esenzione relativa. “Deve” essere, ovvero un dover essere, un ideale regolativo. La norma però non “è” uguale per tutti, come dice la stessa legge a proposito del suo essere reale, una procedura che parla per bocca di persone umane, fallibili, imperfette, attraversa un dibattimento e procede tra svariate curvature, è soggetta alle abilità della difesa dell’accusato, al rigore non persecutorio dell’accusa, alle attenuanti, alle esimenti, a una miriade di eccezioni, alla delicata valutazione di ragionevoli dubbi da parte di chi agisce, il giudice, o dovrebbe agire quale bocca della legge, in tutta la complicata estensione della sua interpretazione, esercitando tuttavia il suo libero convincimento.
Come non deve essere sommaria, anche in quanto ideale regolativo valido in teoria per tutti, la legge deve vietarsi di essere o apparire esemplare o pedagogica, non colpisce uno per educarne cento, in nessun caso procede e manda per accondiscendenza a pregiudizi di opinione. Il governo australiano, quando motiva con i sacrifici sopportati dal popolo, dovuti al controllo della pandemia, il rifiuto di accettare il permesso legale accordato da un giudice a Novak Djokovic, fa della forza bruta, amministrativa o esecutiva, il surrogato di una legge uguale per tutti. Lo fa per ragioni demagogiche, nemmeno politiche o di vera tutela sanitaria, e lo fa per castigare un simbolo riscuotendo in cambio consenso a buon mercato, non per fare giustizia. La vera giustizia integra l’egualitarismo della legge come giustizia retributiva con la giustizia distributiva, unicuique suum, a ciascuno il suo, e da Aristotele a oggi tutti sanno che il verdetto assoluto, univoco, è una tonante intimidazione del potere, non la realizzazione di una misura di equilibrio e di equità. Il ragazzo che difende una madre martoriata da un padre padrone abusivo, fino a ucciderlo, viene nei fatti prosciolto dalla responsabilità materiale del suo crimine. Chi ruba un melone per fame è diverso da chi offende la proprietà privata o quella pubblica per avidità di guadagno. Il furto normato dalla legge non è uguale per tutti.
Nessuno ha dimostrato o può ragionevolmente dimostrare che Djokovic sia una minaccia per la salute a Melbourne, la sua esibita esenzione può essere pasticciata nelle motivazioni ma è un atto di sottomissione ai regolamenti approvato dallo stato di Victoria, dove si gioca, e dall’associazione responsabile dell’Open australiano di tennis, poi bocciato a sorpresa da autorità di frontiera notoriamente intolleranti che sono state contraddette dal giudice Kelly. Umberto Eco, autorità indiscussa per i liberal di ogni parte, diceva che una democrazia deve accettare ingiustizie minori per evitare ingiustizie maggiori. Evitare di accanirsi, specie dopo una pronuncia legale permissiva, su qualche improprietà nelle scartoffie di un dossier di viaggio, accettare la morale dell’intenzione di Djokovic, che vuole solo giocare le sue partite e non intende essere di pericolo ad alcuno, perché non è un untore ma un tennista professionista, sarebbe un atto di ragionevolezza che renderebbe al torneo e ai suoi milioni di spettatori una misura di giustizia.