il foglio sportivo
I signori del ghiaccio dei Paesi Bassi
Viaggio a Utrecht, alla scoperta del segreto del successo del pattinaggio di velocità: tutto nasce dai pittori fiamminghi
L’educazione olandese si perpetua in un detto: “I bambini imparano a camminare, poi ad andare in bici, infine a pattinare sul ghiaccio”. L’enfasi sull’ultimo step. Non come lo intendiamo in Italia, i salti leggiadri di Carolina Kostner sulle note del Boléro. Ma sfrecciate concentriche su pista, adrenalina al fotofinish. È questa la disciplina in cui gli Oranje, puntualmente, fanno incetta di podi a ogni Olimpiade invernale. E si dirà: com’è possibile che un bacino così piccolo polverizzi per medaglie anche gli americani – 121 a 68 –, portando più atleti in gara di qualsiasi altro paese – a Pechino per la quinta edizione consecutiva – e instaurando un dominio con pochi eguali nella storia dello sport? “Per i nostri pattinatori le qualificazioni ai Giochi sono più dure dei Giochi stessi. Un aneddoto: Ronald Mulder, bronzo a Sochi 2014, ha confessato che in carriera soltanto prima di un’eliminatoria interna è scoppiato a piangere dalla tensione. Abbiamo talmente tanti campioni che li dobbiamo lasciare a casa”.
Siamo a Utrecht, sugli spalti del De Vechtsebanen: uno dei 24 palaghiaccio dei Paesi Bassi ufficialmente riconosciuti – anche le infrastrutture sono da record mondiale – e sede della Knsb, la Federazione olandese di pattinaggio. Ogni anno, dal 1° ottobre al 1° aprile, qui funziona tutto come un orologio: vecchi e bambini, amatori e pro, da soli e in gruppo, uniti dal ticchettio sicuro delle lame sulla pista – rumore inconfondibile. “È l’immagine di un sistema piramidale”, spiega al Foglio sportivo Carl Mureau, portavoce della Knsb e nostro anfitrione per un giorno. “Nel 2020, su 17 milioni di olandesi 10,7 hanno seguito il pattinaggio di velocità in tv. Schaatsen, lo chiamiamo. Viene praticato almeno sporadicamente da 7 milioni di persone. 36mila fra queste sono affiliate a uno dei nostri 250 club. In 10mila hanno la licenza agonistica, per partecipare a gare ufficiali. E per almeno 50 top skater, questo è un lavoro full-time”. La forza dei numeri: “Solo il calcio da queste parti è più popolare”.
È una mania nazionale con radici profonde. “Da un lato la tradizione”, ben testimoniata dalla pittura fiamminga, da Bosch a Bruegel il Vecchio: si dice che i primi antenati dei pattini moderni fossero in uso negli inverni olandesi e frisoni già nel XIII secolo, “per spostarsi lungo i canali gelati.
Un’origine pratica: è per questo che il pattinaggio di velocità continua a oscurare l’artistico. Ma il patrimonio del ghiaccio artificiale è altrettanto importante”. E qui la storia è più recente. “Fino agli anni Cinquanta i nostri fuoriclasse dovevano svernare in Norvegia, dove è sempre stato possibile pianificare gli allenamenti altrimenti in balia delle temperature”. La svolta nel 1961. Ad Amsterdam, apre il mitico Jaap Eden Ijsbaan: “Il primo anello da 400 metri del paese – oggi è ancora lì, tra gli ultimi impianti totalmente scoperti ancora in funzione. Da allora è seguita una generazione di ottimi pattinatori, che ha dato ai Paesi Bassi le prime medaglie olimpiche e l’input strutturale per una nuova èra di investimenti. Fino al 1990 sono stati a gestione pubblica. Ma la successiva privatizzazione del settore ha alzato ulteriormente l’asticella: ora tutto ruota attorno a club sponsorizzati (sulla falsariga delle nostre squadre di basket o volley, ndr), che stimolano la competizione ai massimi livelli e hanno le risorse per sostenere un maggior numero di professionisti. Quintuplicati in trent’anni”.
Sulle pareti del palaghiaccio lampeggia il countdown: giorni, ore e minuti che mancano a Pechino 2022. “Quattro anni fa abbiamo conquistato 20 medaglie”, ricorda Mureau. “Il nostro obiettivo è il bottino dell’edizione precedente, più una. Non sarà facile, la concorrenza è cresciuta: Corea, Canada, Cina. E il Covid è un’incognita per tutti. Ma sarà anche il grande ritorno degli sport invernali”. Oltre alla conclamata superiorità sulle lunghe distanze, i Paesi Bassi puntano all’exploit nello short track: “Suzanne Schulting”, già oro a Pyeongchang 2018, “è in gran forma e ha tutto per diventare la regina di questi Giochi”. Sui 31 atleti della delegazione olandese, 28, equamente distribuiti per genere, sono skater velocisti. “Più Lindsay van Zundert, classe 2005: per la prima volta dopo 46 anni, avremo alle Olimpiadi una pattinatrice di figura. Lo specchio di un settore giovanile in crescita. Entro il 2028 vogliamo diventare i migliori anche in questa categoria”.
Davanti a noi, decine di ragazzini assaggiano la pista. “Li vedete? Stanno muovendo i primi passi nelle scuole di skating. In tutto il paese ce ne saranno 200mila come loro: noi li incoraggiamo ad appassionarsi. Anche se rispetto a una volta c’è qualche ostacolo in più”. O superficie in meno. “È uno sport che richiede poco: lame e ghiaccio. Quello naturale è un asset fondamentale per attrarre i bambini, che ricevono i primi pattini in regalo quasi nella culla. Ma i nostri inverni non sono più così rigidi. Quando l’anno scorso c’è stata qualche settimana stabilmente sottozero, due milioni di olandesi si sono riversati tra canali e laghetti per rispolverare il pattinaggio outdoor: ormai è un evento, una danza liberatoria. Ed è da 25 anni che non riusciamo più a organizzare l’Elfstedentocht”, la secolare maratona sul ghiaccio: 200 km in un giorno, lungo undici cittadine della Frisia. Paradiso perduto. “Per la Federazione, una sfida in più. Il risalto mediatico per il pattinaggio c’è sempre, i nostri campioni offrono modelli da seguire. Ma c’è un solo modo per intercettare le nuove generazioni: continuare a investire nei circuiti artificiali”.
Ci avviamo al bar a bordopista. “Quella che stiamo bevendo non è cioccolata calda, ma koek-en-zopie”. Letteralmente: dolcetto-e-drink. “È un’antica usanza riservata ai pattinatori lungo il cammino, tra villaggi e baracchini. Una tappa tiepida per rifocillarsi e ripartire”. Mureau sorride. “È vero: palazzetti come questo sono grandiosi, ma nulla può competere con l’atmosfera di una gelida mattinata di sole, lungo un rigagnolo ghiacciato, la campagna, il silenzio, solo il solco dei pattini e gli uccelli che cantano. Anche se facciamo di tutto per tramandarla”. Di sottofondo la voce di un maestro: “Slittare i piedi di lato eppure avanti, di lato eppure avanti…”. Per chi ha barricato il mare, fissare l’inverno al coperto cosa volete che sia.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA