Foto LaPresse di Tertius Pickard 

Sinner, Berrettini e Sonego: non chiamatelo miracolo

Giorgia Mecca

Abituiamoci a questo bel marcantonio sfrontato che è il tennis azzurro

"Non eravamo abituati”. Così lo scorso giugno Matteo Berrettini aveva commentato la notizia di Jannik Sinner e Lorenzo Musetti agli ottavi di finale del Roland Garros. Non era ancora accaduto niente, il torneo del Queen’s, la finale a Wimbledon, due italiani in top ten, due italiani alle Atp Finals, e già qualcuno negli Stati Uniti, e più precisamente al New York Times, considerava l’Open di Francia e il tennis in generale, “very Italian”. Dopo l’èra di Federer, Djokovic e Nadal, l’unica certezza che sembra offrirci il tennis del futuro è che sarà made in Italy. Pallettari a chi? Il nuovo dream team azzurro sta facendo a pezzi ogni certezza, la bandierina tricolore sul tabellone di un torneo dello Slam non indica più underdog, lucky loser, eterni sfavoriti, lottatori, terraioli e poco altro, non indica più i terzi turni vissuti come miraggi, servizi vincenti mai pervenuti, difesa a oltranza, i fantastici anni Settanta di Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli finiti da un pezzo e continuamente rimpianti. Federico Ferrero, voce di Eurosport che anche quest’anno sta commentando gli Australian Open, si ricorda il giorno in cui per la prima volta ha pensato, come Franco Bragagna durante la finale dei 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo: “Sta succedendo qualcosa”. Era il 2018 e Berrettini aveva appena vinto contro Gaël Monfils agli Us Open del 2019. “Guardandolo giocare ho pensato: che bello vedere un marcantonio italiano che non ha paura di tirare e che vince”, racconta. Stava succedendo qualcosa davvero; da allora in tre anni, Berrettini, che virtualmente oggi è numero 6 al mondo nel live ranking, ha raggiunto almeno i quarti di finale in tutti i tornei dello Slam, è l’unico tennista in attività nato negli anni Novanta a esserci riuscito

 

Nel tennis basta un punto per cambiare l’equilibrio di un match, per decidere vincitori e vinti. “Se entri in campo sicuro di perdere, sicuramente perderai”, era questa la condanna degli Azzurri, mancanza di certezze, di fiducia, precedenti, di esempi a colori a cui aggrapparsi. La fiducia si impara, e anche il coraggio di rischiare un colpo vincente, di osare un tennis moderno, servizio e dritto e piedi dentro al campo a dettare la propria legge, così fanno i campioni, così fanno gli italiani. Jannik Sinner nel 2022 non ha ancora perso una partita: tre vittorie su tre alla Atp Cup di Sydney e quarti di finale agli Australian Open. A vent’anni è il più giovane giocatore ad accedere ai quarti a Melbourne dai tempi di Nick Kyrgios. Il numero dieci al mondo negli ottavi ha sconfitto il padrone di casa Alex DeMinaur in tre set, 7-6 6-3 6-4: nove aces e zero doppi falli per lui che al prossimo turno affronterà Stefanos Tsitsipas. Le vittorie sono contagiose, l’entusiasmo spaventa gli avversari e aumenta la fiducia, è lei la migliore amica di un tennista quando si trova da solo in mezzo a un campo. Berrettini e Sinner a Melbourne ma non solo, si stanno stimolando a vicenda, vinci tu che vinco anche io e così via fino ai quarti di finale: non succedeva dal 1973, da Panatta e Bertolucci al Roland Garros di vedere due italiani così avanti nel tabellone, in Australia non era mai successo. Per Jannik Sinner è la prima volta sul cemento, non lo è per il suo coach Riccardo Piatti, che nel 1991 era il coach di Cristiano Caratti quando a sorpresa conquistò i quarti, dove vinse contro Richard Krajicek e perse contro Patrick McEnroe. Quello fu considerato un miracolo, e infatti non capitò mai più.

 

Il tennis italiano di oggi non sta vivendo né miracoli né favole, ma una stagione d’oro che si autoalimenta, con 7 titoli Atp conquistati nel 2021 tra Berrettini, Sinner e Lorenzo Sonego. I tre moschettieri del tennis azzurro, a cui bisogna aggiungere anche Lorenzo Musetti, sono alti, belli, famosi, potenti, tirano servizi a 220 chilometri orari, sono i testimonial ideali per lo sport che verrà. Non eravamo abituati, adesso lo siamo.

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