il foglio sportivo – il ritratto di bonanza
Vlahovic alla Juve un disegno moderno
Prima Baggio, poi Bernardeschi e Chiesa e adesso l'attaccante serbo. La via che porta da Firenze a Torino è un disegno moderno, dove il sentimento dell’artista risiede nell’intenzione, ma risulta freddo, asciutto, perfino poco importante
Una simmetria perfetta. L’anno calcistico spaccato a metà, i soldi incassati che equivalgono, per convenienza, a quelli spesi. Firenze e Torino, le due capitali prima di Roma, una rivalità che ha toccato cifra tonda, quarant’anni, da quando nel 1982 la Juventus soffiò lo scudetto alla Fiorentina. Baggio prima (anche se quella fu decisamente un’altra storia), Bernardeschi, Chiesa e adesso Dusan Vlahovic, i quattro dell’Ave Maria che sono passati dal viola al bianconero, in meno tempo della stessa preghiera. Vlahovic alla Juventus si inserisce in un quadro perfettamente simmetrico, come un disegno moderno, dove il sentimento dell’artista risiede nell’intenzione. Risultando freddo, asciutto, perfino poco importante.
Che cosa ce ne frega più del sentimento? Nulla, decisamente nulla. E allora vale tutto. Che un giocatore simbolo di una squadra se ne vada via a metà stagione, come un marito che lascia la sposa sulle scale della chiesa con il vestito un po’ strappato. Che un manipolo di soggetti descritti come la banda del Torchio, famosa per chiedere i riscatti con la voce di Totò e Peppino, stringa lo stesso giocatore in una camicia di forza, come se fosse un matto pronto a scappare, e chieda, per liberarlo, una cifra scandalosa. Come se Totò e Peppino fossero stati banditi veri e non due attori in farsa. Che un presidente, anche lui ostaggio sia ben chiaro della banda, fin dal suo avvento polemico su tutto, di fronte a questa storia, alzi semplicemente un sopracciglio. Che la Juventus, dall’altra parte, realizzi un colpo formidabile di cui nessuno ipotizzava tempi così stretti. Rilanciandosi come immagine e soprattutto come ambizioni.
Dusan Vlahovic, che in questi giorni ha compiuto 22 anni, è un attaccante senza precedenti in Italia, se non proprio a Firenze, dove un una volta segnava, come una mitraglia, un argentino di nome Batistuta. I due sono vicini nel modo di stare in campo, nel tiro, nella cattiveria, nella fisicità, quella maniera di trasformare il corpo in statua, un blocco di marmo invalicabile. Con lui Allegri trova la sponda in grado di far muovere una squadra altrimenti piatta e inespressiva. Con il suo avvento rifioriranno le rose, e anche una spina come Dybala tornerà a pungere e a far male. Perché non c’è giardino che possa splendere senza una pianta al centro che ne sia il cardine, la fulgida attrazione. Con Vlahovic alla Juventus si chiude con il botto un calciomercato povero, caduto in mezzo al nulla di questa insopportabile e ancora tragica pandemia. E se la simmetria del tempo, vittima del virus che ci ha portato indietro di quasi cento anni, ha perso i suoi equilibri, quella del calcio rimane intatta, con tutte queste storie inverosimili a farci ricordare quanto sia improbabile, e quindi prevedibile, la vita.