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Lo spirito di Veltroni si è impossessato di Infantino
I deliri del presidente della Fifa che vuole dare speranza all’Africa con il folle mondiale biennale
Ho esagerato con la bionda, l’altra sera, alla fine ero dolorante manco mi avesse preso a cazzotti. Capitemi, però: era domenica sera, stavo guardando Milan-Juventus, se non mi fossi sbronzato non ne sarei uscito vivo. Al fischio finale di quella partita sul livello della bassa quarta divisione inglese ho pensato a quelli che da qualche tempo provano a sostenere che il livello della Serie A è tornato alto, che le partite in Italia sono divertenti e che se Gosens e Vlahovic non sono andati al Newcastle vuol dire che l’Inghilterra fa schifo. A quel punto ho stappato il brandy, anche perché avevo da poco letto l’intervista al presidente della Figc, Gabriele Gravina, che dopo avere definito “un atto di responsabilità” l’idiozia dei 5.000 spettatori a partita ha aperto all’idea di playoff per il campionato italiano. Ho brindato a lui: finalmente un po’ di sincerità, ammettere che la Serie A ha bisogno di intrattenimento extra per risultare interessante, come se fosse la Championship, la nostra Serie B, o uno sport americano a caso, è notevole.
Chi sicuramente beve più di me è il board dirigenziale della Fifa. In uno dei suoi meglio riusciti deliri di onnipotenza, il presidente Gianni Infantino ha perorato la causa del Mondiale ogni due anni al Consiglio d’Europa qualche giorno fa dicendo cose che neppure Carola Rackete dopo una canna: “Si è parlato tanto della Superlega, il calcio va nella direzione in cui pochi hanno tutto e la stragrande maggioranza non ha nulla”, ha detto il novello difensore degli oppressi, lanciando la sua crociata contro le diseguaglianze con un’osservazione originale: “In Europa giocano i migliori giocatori ogni settimana”. Poi si è trasformato in un generatore automatico di banalità retoriche: “Il calcio riguarda opportunità, speranze, Nazionali, paesi, cuore, gioia, emozioni”. Infine, la giustizia sociale: “Al resto del mondo non possiamo dire 'dateci i vostri soldi, dateci i vostri giocatori se ne avete di bravi e guardateci in tv'. Dobbiamo trovare il modo per includere il resto del mondo, compresa l’Africa”.
E qui lo spirito di Veltroni si è impossessato del calvo dirigente pallonaro: “Per dare speranza agli africani, cosicché non debbano aver bisogno di attraversare il Mediterraneo per trovare forse una vita migliore, ma più probabilmente la morte in mare”. Come abbiamo fatto a non pensarci prima? Assegnazioni truccate, stadi nel deserto, dirigenti corrotti, calciatori trattati come nuovi Harlem Globetrotter e di colpo in Africa cesseranno le guerre e nessun migrante morirà più in mare”.
“Noi esportiamo emozioni”, ha concluso Infantino confermando il successo del suo piano criminoso: il calcio è show d’esportazione, emozione da bruciare in fretta e sempre più spesso. Fino a che non ne potremo più. Come sembrano ingenui infatti i tifosi della Fiorentina in questi giorni, a perpetuare l’illusione che un giocatore sia “uno di noi”. Se il calcio è emozione da esportazione, l’appartenenza è una cosa inutile. Come certi dirigenti del calcio mondiale.