Vlahovic e le felici sorprese dell'uomo in più nel calcio
Quando le luci della ribalta si accendono all’improvviso su quello che sembrava un semplice comprimario e invece finisce con l’assumere connotazioni sorprendenti
È la clausola del buon peso, nei sentieri del calciomercato ha una sua dignità e un’origine più antica della plusvalenza. E in questo gennaio 2022 ha anche una decente attualità. Risponde alla regola di chi, davanti al bancone del salumiere, sente dire: "Dottore, sono tre etti e due. Che faccio, lascio?". Lasci. Non c’entra nulla con quelle stregonerie da supermercato, il "paghi uno, prendi due" non ha la leggerezza del buon peso, non lascia in bocca la soddisfazione di esserti fatto un regalino (meritato), altra cosa rispetto a quella diffidenza da scaffale del supermarket.
Nel calcio l’uomo in più finisce spesso con l’assumere connotazioni sorprendenti. E tendenzialmente felici. Prendete il caso di Dusan Vlahovic: la Fiorentina cinque anni fa lo pagò 1 milione e mezzo, più altri 500 mila euro, anche qui per far buon peso. Era un bimbo, neppure maggiorenne, eppure l’allora direttore sportivo del club viola decise di “lasciare”. Alla Fiera dell’Est il Corvo, oggi tornato nella sua Lecce, era volato per acquistare Nikola Milenkovic, quello che allora era il vero colpo di mercato, “il migliore fatto dal nostro club nel ultimi dieci anni” si affrettarono a dire i dirigenti del Partizan di Belgrado. Incassarono quasi cinque volte tanto il prezzo pattuito per l’altro, cioè Vlahovic. Ora l’attaccante è stato ceduto alla Juventus per circa 67 milioni, quasi settanta volte il prezzo d’acquisto. Non che Milenkovic, dopo qualche guaio fisico, non abbia la sua più che dignitosa valutazione, fissato dall’”indice Transfermarkt” a circa 25 milioni. Però le proporzioni sono piuttosto facili da fare: pagato circa un quinto, il Dusan bianconero ora vale quasi tre volte tanto il connazionale.
È la storia di questo è quello, quando le luci della ribalta si accendono all’improvviso su quello che sembrava un semplice comprimario. La storia del pallone, anche nella serie A italiana, ha già raccontato più di una storia così. Basta restare dalle parti dello stadio Artemio Franchi, meraviglia architettonica disegnata da Pier Luigi Nervi (mister Commisso si rassegni, non gli garberà ma è così bello da finire anche tra le pagine del passaporto italiano). Sempre a Firenze arrivò un tal Daniele Massaro, acquistato dal principe Pontello solo per poter strappare al Monza anche il bomber Paolo Monelli. Monelli non sfonda: chiuso da giocatori come Daniel Bertoni e Ciccio Graziani, troverà il suo magic momento solo nel 1988, ma con la maglia della Lazio. Massaro sarà invece la rivelazione del campionato, tanto da venire convocato per il Mundial spagnolo del 1982. Che, ovviamente, vincerà, pur non mettendo mai piede in campo.
Della clausola del buon peso sanno qualcosa anche a Genova, città di mare. Qui arrivarono addirittura in tre: nell’estate del 1989 per portare dalla Francia all’Italia il famosissimo uruguaiano Rubén Paz, il Genoa ingaggiò dal Penarol anche il famoso José Perdono, monumentale centrale di difesa. Per far buon peso, sempre dal Penarol, arriva anche lo semi sconosciuto Carlo Alberto Aguilera, detto Pato. Insomma, i due cigni reali e l’anatroccolo. Solo che i primi due fecero le valige a fine stagione, mentre Pato entrò davvero nella storia del Grifone.
Così come nella Lazio di Cragotti non sarà Ivan De La Peña a lasciare il segno, ma semmai l’asterisco Fernando Couto, come nella Juventus lascerà certamente un ricordo più felice Jurgen Kohler arrivato dal Bayern Monaco con la stella (cadente) Stefan Reuter. In fondo ogni squadra ha il suo buon peso da ricordare. E allora che si fa “Lasci, grazie”. Non si sa mai