Quella Francia-Italia, la partita. Al Sei Nazioni non andrà così
Era il 1997 e l’Italia del rugby era ancora quella che va in onda solo sui titoli di coda della “Domenica sportiva”: uno sport di serie B dopo la Serie B del calcio. Ma il 22 marzo del 1997 a Grenoble...
“Avete portato la cesta?”, domanda un doganiere francese. La cesta? “Per metterci dentro i punti che vi segnerà la Francia”. E giù a ridere, i doganieri francesi. Georges Coste, l’allenatore francese della Nazionale italiana, non sorride neanche per cortesia, per diplomazia, per niente: “On ne va a reparleur au retour”, se ne riparlerà al ritorno.
Sabato 22 marzo 1997. Grenoble. Francia-Italia. Rugby. Coppa Europa Fira. Quella partita. La partita. Una partita cominciata molto tempo prima. Quando la Francia giocava a rugby e l’Italia no. Quando la Francia e l’Italia s’incontrarono la prima volta, era il 22 aprile 1935, a Roma, e alla Francia bastò mandare la squadra B per ararci 44-6. Quando la Francia partecipava al Cinque Nazioni e l’Italia no. Quando Maci Battaglini, il primo italiano a giocare in Francia, piazzò da metà campo, una puntata che finì alta fra i pali, e gli spettatori, francesi – con cavalleria, con sportività, con competenza – scattarono in piedi e gli tributarono un applauso lungo 10 minuti. Quando la Francia partecipava e vinceva il Cinque Nazioni e l’Italia la ammirava in tv con le parole di Paolo Rosi. Quando la Francia mandava allenatori francesi in Italia, da Julien Saby a Pierre Villepreux, da Bertrand Fourcade a Georges Coste, perché ci insegnassero principi e fondamentali, perché ci regalassero spirito e stile, perché ci tirassero un po’ su. “On ne va a reparleur au retour”, appunto.
L’Italia del rugby è, nel 1997, ancora quella che va in onda solo sui titoli di coda della “Domenica sportiva”: uno sport di serie B dopo la Serie B del calcio. La conferma solo pochi giorni prima. La Nazionale di rugby è in ritiro a Chieri, il mercoledì a Torino si gioca Juventus-Rosenborg, calcio, Champions League, la Federugby chiede un invito ufficiale per la squadra, la Juventus glielo nega. Se volete venire a vederci, dovete pagare, e che cavolo, la Federugby non ci sta. Il giovedì il viaggio in Francia, da Chieri a Grenoble, 248 chilometri, in pullman, in autostrada e sulla statale. Davanti: allenatori e dirigenti, poi Diego Dominguez e Alessandro Troncon, i registi, Diego che dirige i trequarti all’apertura e Alessandro che comanda gli avanti alla mischia, e Ivan Francescato, che soffre i tornanti del Sestriere e del Monginevro, e poi quelli di Les Deux Alpes e l’Alpe d’Huez, neanche fosse un tappone del Giro d’Italia o del Tour de Frace. Dietro: dietro si gioca a carte, a poker, si beve, si mangia, si fuma, non è una bisca e non è un’osteria e non è uno spogliatoio, ma quasi, e cosa vuoi dire a bestioni grandi e grossi, rudi e consapevoli, allegri e matti, consapevoli di affrontare la squadra che solo una settimana prima ha conquistato il Cinque Nazioni con tanto di Grande Slam, battute una dietro l’altra, l’Irlanda a Dublino 15-32, il Galles a Parigi 27-22, l’Inghilterra a Twickenham 23-20 (rimontando da 6-20 in un quarto d’ora che da allora si narra come una favola, una leggenda, un mito) e la Scozia ancora al Parco dei principi 47-20.
“Avete portato la cesta?”, poco elegante, d’accordo, ma non privo di qualche fondamento.
L’arrivo a Grenoble, la sistemazione vicino alla stazione, da una parte c’è il Novotel, lussuoso, dall’altra l’Europole, andante: la Francia è al Novotel, vetri e marmi, l’Italia all’Europole, tende e tovaglie. La sera, l’ennesima riunione, perché si è lavorato tanto sul campo, ma anche tanto al video.
“Di quella Francia – ricorda Stefano Bordon, trequarti centro – conoscevamo schemi e trucchi, caratteristiche e qualità. Non era tutto. Perché i francesi, da sempre, sono imprevedibili. Il loro segreto è proprio l’immaginazione, l’improvvisazione, la fantasia”. E alla vigilia, quando i nostri ragazzi vanno a fare due passi in città per sgranchirsi le gambe e liberarsi la testa, ecco gli italiani, gli altri italiani, gli italiani veri, “les Italiens”: emigranti, minatori, contadini, operai. Una vita, tante vite, da rugbisti, acciaccati, battuti, segnati, ma mai vinti.
Quella partita, la partita, si gioca allo stadio Lesdiguières. Non era un rugbista ma un soldato, François de Bonne de Lesdiguières: l’ultimo connestabile di Francia, il capo delle armate del re, nella prima parte del Seicento. Capienza: 12 mila posti. Il Parco dei principi negato, perché riservato soltanto alla élite, alla créme.
Il giorno prima, come da tradizione rugbistica, si effettua il “captain’s run”, l’allenamento di rifinitura. I francesi ci snobbano, o forse ci sfottono: niente stadio del match, neanche quello, ma campetto di periferia, niente palloni di gara, ma palloni che Dominguez, il nostro calciatore, definisce “da supermercato”. Ed è un complimento involontario, perché nei supermercati italiani, ancora adesso, si trovano solo palloni sferici, non ovali. Massimo Giovanelli, terza ala e capitano, che gioca a Parigi nel Puc, sembra che non aspetti altro per scuotere i compagni, per eccitarli, per aizzarli: “Ecco cosa pensano di noi”. Conoscendolo, avrà usato ben altre parole. “La corsa del capitano” è una sgambata, un ripasso, uno sfogo, una temporanea liberazione. Gli schemi, a reparti separati e poi uniti, quindi, solo per Dominguez, i calci fra i pali. Ma c’è anche un accorgimento. Lo riesuma Francesco Volpe in “Il rugby sottosopra” (Absolutely Free), in cui ricostruisce “quando l’Italia ribaltò la Francia e il mondo”: “A Coste viene un’idea: fa impiegare ai suoi ragazzi la pece tradizionalmente usata dai giocatori di pallamano. Un preparato della consistenza della vaselina, ma nero e colloso”, tant’è che “di palloni gliene cascheranno pochissimi. Unica controindicazione: guai a esagerare. Francesco ‘Cocco’ Mazzariol in riscaldamento se ne spalma troppa e il pallone non vuol saperne di staccarsi dalle mani”.
Quell’Italia di quella partita, la partita, gli appassionati la recitano a memoria. Nel rugby ufficiale la formazione è scandita dal numero 15 al numero 1, dall’estremo al pilone sinistro. Se fosse un camion, come andare dalla marmitta alle ruote motrici attraversando il motore con bielle e cilindri. Se fosse una casa, come andare dalla terrazza alle fondamenta passando per camere e cucina. Se fosse una preghiera, così: Javier Pertile (Rugby Roma); Paolo Vaccari (Calvisano), Ivan Francescato (Treviso), Stefano Bordon (Rovigo), Marcello Cuttitta (Milan); Diego Dominguez (Milan), Alessandro Troncon (Treviso); Julian Gardner (Treviso), Massimo Giovanelli (Puc Parigi), Andrea Sgorlon (Treviso); Walter Cristofoletto (Treviso), Giambattista Croci (Milan); Franco Properzi (Milan), Carlo Orlandi (Milan), Massimo Cuttitta (Milan). Il Milan - erano i tempi di Berlusconi e del suo progetto di polisportiva poi naufragato – era stato costruito con un metodo calcistico, acquistando qua e là i giocatori più pregiati del campionato. Ma diciamoci la verità: tre anni prima, quando L’Aquila povera e provinciale, ruspante e ignorante (ignorante, nel rugby, è un gran complimento), superò 23-14 il Milan nella finale scudetto, l’Italia aveva esultato. Chiusa la parentesi.
E la Francia? La Francia è sempre la Francia. Nove su quindici sono quelli che hanno conquistato il Grande Slam, ma rientrano due super come il terza ala Philippe Benetton e l’ala Philippe Saint-André. Eppure.
Si gioca dalle 16.15. In Italia non c’è la diretta tv. La partita è trasmessa da Telemontecarlo, ma registrata, la sera, dopo il telegiornale. Ma adesso, su YouTube, c’è. E si può sempre guardare. Gratis. Eterna.
Il calcio d’inizio spetta agli italiani, il drop affidato a Dominguez, fino al fischio finale, una bolgia azzurra. E si capisce subito che è giornata, per l’Italia, che non è giornata, per la Francia. Cinque minuti e quando Sgorlon raccoglie un pallone da terra, quando Sgorlon lo affida a Troncon, quando Troncon sorprende la difesa francese, quando Toncon salta Bordon e passa a Francescato, quando Francescato fa il francese o il neozelandese o semplicemente il rugbista e vola per 40 metri e schiaccia in meta, si capisce che è e sarà (e adesso lo si può confermare: era) una giornata comunque storica. Ivan, per questa meta, si immola. Lo racconta Elvis Lucchese in “La finta di Ivan” (Aviano.com): “’No, boiacàn, no’ ha pensato Ivan subito dopo aver poggiato la palla a terra, oltre la linea di meta francese. Il muscolo che tira. Conosce bene la sensazione. ‘No, no’. Sì, tira. Fa male. Stai fermo ed è tutto normale, poi inizi a correre e senti la coscia che tira. Puoi giocare lo stesso, dai, diobòn, non è mica insopportabile. Ma passano i minuti e il dolore si fa sempre più forte. Il muscolo diventa un pezzo di legno. Stiramento”. Cambio. Entra Mazzariol, esce Francescato. Piangendo.
Piangeranno tutti gli italiani, di gioia. Piangeranno tutti i francesi, di rabbia, di delusione, di dolore. E uno anche di gioia. È Georges Coste. Al ritorno, alla frontiera, si affaccia, erano tre giorni che ci pensava, che lo desiderava, che non aspettava altro, ma dei doganieri francesi non c’è traccia. Non ne dovevamo parlare al ritorno? Poco prima, chi non piscia in compagnia, il pullman azzurro si è fermato per lasciare l’ultimo segno sulla terra di Francia.
Ma che Italia è mai stata: 7-0 con la meta di Francescato trasformata da Dominguez, 7-7 con una meta tecnica della Francia trasformata da Aucagne, un calcio di Dominguez e due di Aucagne, qui l’unica volta in cui l’Italia sotto la Francia, 10-13, un altro calcio di Dominguez, poi la meta di Gardner trasformata da Dominguez, 20-13 all’intervallo, meta di Bonduy trasformata da Aucagne e nuovo pareggio 20-20, meta di Croci trasformata da Dominguez, 27-20, due calci di Dominguez e meta di Vaccari trasformata da Dominguez (quasi perfetto: otto su nove) per il 40-20, troppo tardi la reazione dei Bleus con la meta di Sadourny e la seconda di Bonduy trasformata da Aucagne. Finale: 40-32 per l’Italia.
Il giorno dopo “L’Equipe” titolerà in prima pagina: “Triomphe à l’italienne”. Il trionfo del rugby italiano. E un trionfo, a suo modo, anche del giornalismo francese.
Domenica, alle 16, a Parigi, allo Stade de France, Francia-Italia. Non sarà così.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA