L'importanza di chiamarsi Ernesto Colnago
I primi novant'anni di un genio della bicicletta. Ha cominciato come meccanico, ha sistemato le biciclette di Magni e Nencini, ha costruito quelle di Merckx, Saronni e tanti altri. Ha innovato come pochi altri
Una mattina di fine aprile del 1955, durante un allenamento sulle strade della Brianza insieme agli amici Giorgio Albani, Donato Piazza e Pierino Baffi, il grande Fiorenzo Magni si fermò ad abbeverarsi a una fontana. Con gli amici si lamentava che da un po’ di tempo gli faceva male una gamba. Un giovane ciclista, vent’anni o poco più, che si era timidamente aggregato a quella sgambata di professionisti, si fece coraggio e, con la voce che un po’ gli tremava, disse: "Signor Fiorenzo, sa perché le fa male?". Magni lo guardò dall’alto in basso. La sua faccia diceva tutto: chissà da dove saltava fuori quel bassettino che credeva di sapere il perché dei suoi malanni. Ma il ragazzo insistette: "Signor Magni, guardi la pedivella, è storta, non è in asse, la pedalata non è rotonda, e dai e dai e dai, le fa male la gamba". E poi: "Se vuole gliela sistemo io. Di mestiere faccio il meccanico. Però bisognerebbe andare nella mia officina. È qui, non è lontana: Cambiago". Magni lo squadrò e d’istinto decise di dargli retta. Cambio di programma: girarono le bici direzione Cambiago, all’officina del giovane meccanico, praticamente un bugigattolo. Una limata alla pedivella e via. Magni ringraziò e rimontò in sella: "Come ti chiami", gli chiese prima di allontanarsi. "Colnago Ernesto", rispose il ragazzo. Qualche giorno dopo, l’Ernestino si vide arrivare a bottega Isaia Steffano, il massaggiatore di Magni. Gli portò un messaggio che era anche un invito: "Ha detto il signor Magni se te la senti di venire al Giro d’Italia".
Cominciò così, in quella primavera del ’55, la luminosa carriera di meccanico ciclistico e poi di gran costruttore di Ernesto Colnago, che oggi, 9 febbraio 2022 compie 90 anni tondi tondi, come le ruote delle sue meravigliose biciclette. Stamattina a Milano, alle ore 11, niente meno che nell’Arena Bocconi Sport Center, si festeggia l’evento con un parterre de roi composto da Tito Boeri, Vittorio Colao, Romano Prodi (in collegamento a distanza), Beppe Saronni – uno dei suoi campioni – e dei giornalisti-presentatori Pier Augusto Stagi e Marco Pastonesi – quest’ultimo autore di una biografia-conversazione, Il Maestro e la bicicletta, leggera ed elegante quanto le biciclette che per 70 l’Ernesto “ha fatto su”. Ma el sciur Colnago merita un biglietto d’auguri che racconti la sua storia, facendo qualche passo indietro e più di un passo in avanti rispetto a quella fine aprile del ’55.
Cambiago, 1932. Tra Milano e l’Adda, confini della Brianza. La grande città è poco lontana ma qui è campagna e in campagna lavora il papà Antonio. Il bambino Ernesto va a scuola lo stretto necessario, gli anni delle elementari; poi per le medie c’è tempo solo la sera, che di giorno c’è da dare una mano nei campi e nella stalla. Dura poco, perché la vocazione del piccolo Ernesto è fin da subito l’officina. Prima alla Lesa (Laboratori Elettrotecnici Società Anonima), poi a bottega dal Dante Fumagalli, riparazioni meccaniche, dove per la prima volta assiste alla magia della saldatura. Finisce la guerra ma non la fatica e la miseria. L’unico antidoto è il lavoro. E quello, per fortuna, non manca, anzi: il lavoro attira l’Ernesto come una calamita, e viceversa. Sarà sempre così. A fine 1945 arriva la grande occasione: un posto da apprendista alla Gloria, glorioso – è il caso di dirlo – marchio ciclistico milanese, la mitica scuola di Alfredo Focesi. È qui che si forma Ernesto Colnago, è qui che viene folgorato dalla passione, dalla bellezza, dalla forma platonica, euclidea, leonardesca della bicicletta. Il ragazzo è svelto, impara in fretta e non si stanca mai. Trova il tempo anche per inforcare la bici e correre da dilettante. E si toglie anche qualche bella soddisfazione: Coppa Gabellini, Coppa Mamma Isolina Caldirola, fino a un incidente nella Milano-Busseto. Frattura del perone. Ma chi lo ferma, l’Ernesto? Con la gamba steccata, si fa portare il lavoro a casa: centratura e montaggio ruote. È velocissimo, di mano ma soprattutto di testa. E capisce che gli conviene mettersi in proprio. Ha diciannove anni quando prende in affitto “un cinque per cinque”, una bottega-bugigattolo, a Cambiago, proprio di fronte al “Du e vint”, l’osteria dove un litro di rosso costava due lire e venti centesimi. È qui che continua a lavorare per conto di Focesi, che lo paga in materiale: gomme, selle, pezzi di ricambio. Gli affari l’Ernesto li fa con la riparazione delle biciclette degli operai: prezzi convenienti, puntualità e lavoro ben fatto. In poco tempo Colnago in zona diventa un nome. Ma all’Ernesto non basta. Nel 1954 costruisce – cioè mette insieme, partendo dagli elementi primari: tubi per il telaio, e poi tutta la componentistica, forcelle, pedali, ruote, sterzi, manubri, freni, cambi ecc. – la sua prima bicicletta, e la marchia col suo nome: nasce la Colnago Oltre che con le quelle degli operai, comincia a lavorare anche con le biciclette delle società ciclistiche di dilettanti della zona. Passione e intraprendenza. La prima gli fa conoscere, si è visto, Fiorenzo Magni a una fontanella lungo una strada della Brianza; la seconda gli fa conquistare la stima e la riconoscenza del Leone delle Fiandre, che, da un giorno all’altro, gli apre le porte del grande ciclismo.
Torniamo infatti a quella primavera del 1955. L’esordio è clamoroso: il meccanico Colnago – facendo da assistente a quel mago delle biciclette che è Faliero Masi, capo meccanico della Nivea-Fuchs – assiste, e anzi è complice, in quel Giro d’Italia del 1955, di una clamorosa vittoria in rimonta. Nella penultima tappa, la Trento-San Pellegrino, Magni ha deciso di giocarsi il tutto per tutto. Comanda a Colnago di montargli delle gomme rinforzate perché ha scelto di attaccare la maglia rosa Nencini in un tratto di sterrato in discesa. E Magni lì scappa via, in un’ecatombe di forature; gli resistono solo Coppi e Nencini. Dopo poco però anche Nencini ha le gomme a terra e deve fermarsi. Mancano ancora 150 km all’arrivo a San Pellegrino e Fiorenzo si mette a tirare come una furia. Dapprima Coppi rimane a ruota, ma poi inizia a collaborare. A Nencini non resta che inseguire da solo, col vento contro e senza squadra a dargli alcun aiuto. La maglia rosa naufraga nel ritardo e i due vecchi campioni volano verso la vittoria: a Coppi il traguardo di San Pellegrino, a Magni la maglia rosa. Per il Leone delle Fiandre, trentacinque anni, è il terzo Giro d’Italia e il coronamento di uno splendido palmarès. Per Ernesto Colnago, ventitré anni, è l’inizio di una straordinaria carriera di successi, seppure per interposta bicicletta.
Il binomio Magni-Colnago continua nel 1956: un Giro “titanico”: quello della cronoscalata al San Luca con il tubolare legato al manubrio da una parte e stretto nei denti di Fiorenzo per alleviargli il dolore alla clavicola fratturata e dell’arrivo al Monte Bondone nella tempesta di neve. E poi alla Leo-Chlorodont, che nel 1957 porta al successo Gastone Nencini al Giro. Dal 1963 è il meccanico della Molteni: sono gli anni delle vittorie di Motta e Dancelli, ma anche, come meccanico della Nazionale, del Mondiale di Imola di Vittorio Adorni (1968). Poi, dalla fine del 1970, inizia il sodalizio con Eddy Merckx che in breve diventerà amicizia fraterna. Il culmine della loro strepitosa joint venture è il record dell’ora di Città del Messico, il 25 ottobre 1973. Colnago allestisce per l’occasione uno dei suoi capolavori: una bicicletta di cinque chili e settecentocinquanta grammi, un miracolo di precisione, resistenza e leggerezza. Duecento ore per prepararla, un’ora per abbattere il nuovo limite, 49,431 m. Da quel giorno, ogni 25 ottobre di ogni anno Ernesto la mattina preso chiama Eddy che aspetta la telefonata dell’amico.
Poi dal 1974 il nome Colnago diventa ufficialmente sponsor di squadre professionistiche, a cui fornisce le biciclette: prima la Scic, di Tista Baronchelli prima e di Beppe Saronni poi. Con Saronni – che vincerà su bici Colnago due Giri e il Mondiale di Goodwood nel 1982 – il rapporto è quasi filiale: ne accompagnerà anche la carriera di dirigente sportivo prima alla Lampre e ora alla UAE Emirates. Negli anni Novanta è l’epoca d’oro delle vittorie Mapei, e in particolare dei cinque trionfi alla Parigi-Roubaix, a partire da quello di Franco Ballerini nel 1995, ottenute su innovative per l’epoca biciclette in carbonio. Perché innovazione e sperimentazione, fin dai tempi della bottega “cinque per cinque”, sono sempre stati di casa a Cambiago; così come la voglia di conoscenza e di confronto con le più grandi figure del mondo imprenditoriale e sportivo: da Ambrogio Molteni a Tullio Campagnolo, da Enzo Ferrari a Giorgio Squinzi. Le vittorie del marchio Colnago non si possono contare, semplicemente perché è un conteggio che non si ferma mai: nel 2020, anno in cui Ernesto, dopo sessantasei anni al timone dell’azienda, cede la quota di maggioranza a una nuova proprietà, Tadej Pogačar, a soli ventun anni, ha vinto il Tour de France su una bicicletta che l’Ernesto stesso, come ai tempi in cui preparava nottetempo il mezzo meccanico per quel perfezionista di Merckx, ha voluto che gli venisse verniciata di giallo la notte prima.
Ma l’importanza di chiamarsi Colnago non sta solo nel computo del palmarès, ma in una vita piena di curiosità, inventiva, sperimentazione e soprattutto di incontri: ci vorrebbero perlomeno altri novant’anni per poter sfogliare con tutta calma e assaporare con pieno godimento quell’enciclopedia di grande ciclismo, intelligenza della mente e del cuore e sincera umanità che è il sciur Ernesto. Ed è quello che, ringraziandolo di tutto, qui gli auguriamo.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA