Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza
Mourinho e il grande palazzo dentro la piccola Roma
Tempi duri per lo Special One, alle prese con una squadra in crisi d'identità e allo stesso tempo impegnato in una crociata infinita contro il "sistema"
Uno sfogo negli spogliatoi di San Siro per tornare il vecchio Josè, quello dalla pistola fumante che soffia sulla canna in attesa del prossimo nemico da abbattere. Solo che in questo caso il nemico ce l’ha in casa, i giocatori stessi di una Roma assente, priva di quei nodi forti del carattere che hanno sempre contraddistinto le squadre allenate dal portoghese. Di chi è la colpa?
Immaginiamo il senso di sconfitta provato da Mourinho nel constatare che la sua squadra non lo segue, non lo rappresenta, e quindi, traduzione romantica, non lo ama. Comportandosi di conseguenza sul campo come un adolescente senza un padre, una madre, una famiglia, ciondolando senza fare niente di concreto e protestando su tutto, dove il tutto è un nemico invisibile. C’è dunque una grande questione aperta alla Roma, il collettivo asfittico, e ce n’è una minore ma di sicuro non marginale: quella arbitrale.
Mourinho protesta per come viene trattata la squadra, “siamo piccoli”, sostiene, lui, che il piccolo non l’ha mai guardato nemmeno con il binocolo alla rovescia. Mourinho conosce le regole, le ha cavalcate a suo favore quando guidava i reali di Spagna e quelli d’Inghilterra. All’Inter ha provocato per difendersi creando la sua leggenda italiana. Josè sa, o crede di sapere, quello che si nasconde dietro la reiterata vessazione del cosiddetto Palazzo. C’è il favore di un momento, c’è la tradizione, la fatalità, il nome, la storia. Elementi che si traducono in potere, un potere contrario, come se lo stesso Palazzo si approfittasse della piccolezza sportiva della Roma, secondo quello che pensa e sostiene l’uomo di Setubal. Dandogli un pizzico di credito, vista l’esperienza e l’intelligenza della persona, va ricordato almeno un fatto rilevante.
La situazione, già bollente, esplode dopo il caso Zaniolo, nel quale l’arbitro Abisso, in accordo con il nome che porta, apre una voragine tra sé e il calcio. Non vede sul campo, viene richiamato da un varista (un cocktail Martini please!) che non calcola il potere amplificante delle immagini – dove un tocco può diventare uno sparo – e poi non ha il coraggio di soprassedere davanti all’ennesimo replay. Gol annullato e il povero Zaniolo che da Superman si trasforma in pochi istanti in una mosca appiccicosa da scacciare addirittura con un rosso. Oltre al danno la beffa, di un signore che da un lato applica la regola e dall’altro tradisce il gioco. Perché l’ha fatto? È solo un arbitro maldestro o, come dice Mou, in tutto questo c’è del losco? Provate voi a rispondere che a chi vi scrive è finito l’inchiostro.
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