Il foglio sportivo - that win the best
I calciatori non devono essere per forza un modello di virtù
Guardiola che difende i suoi al pub. E Zouma fatto fuori dal West Ham dopo aver malmenato i suoi gatti. La società dell’offesa è alla perenne ricerca di vittime da sacrificare sull’altare del perbenismo
Maledetto Pep Guardiola. Questa volta sono costretto a brindare al calvo allenatore del Manchester City, l’uomo che ha rovinato il calcio inventando il tiki-taka al Barcellona e trasformato Messi nel messia, con annesse rotture di palle retoriche degli ultimi dieci anni. Sarà che l’aria inglese gli fa bene, ma lo stiloso catalano ha dato una risposta da applausi ai miei colleghi puritani che gli chiedevano conto della serata al pub di Walker, Mahrez e Grealish dopo la vittoria in FA Cup contro il Fulham. “Sono arrabbiato e li multerò perché non mi hanno invitato”, ha detto rimettendo a cuccia l’ipocrisia ahimè così inglese di chi cerca lo scandalo in una birra di troppo bevuta da un calciatore.
Non solo, Pep ha aggiunto un’altra osservazione: “I giocatori sanno i rischi che corrono quando vanno fuori, con i social media… Ma tutti e tre sono stati perfetti”. Occhio non vede, fegato non duole, insomma. Facciano quello che vogliono, e un’uscita al pub non è uno stupro di gruppo comunque, fino a che non vengono sputtanati su qualche social. Non c’è nessun Guardiola per Kurt Zouma, invece, che ha mancato proprio a questo comandamento di Pep: il difensore del West Ham ha pubblicato alcune stories sui suoi social in cui malmena i suoi gatti a casa sua. Mossa decisamente stupida, nell’epoca in cui la tutela degli animali modifica Costituzioni solitamente ritenute intoccabili. Il video di Zouma ha titillato gli istinti animalisti, e quindi moralisti, di chi si sente molto offeso se un gatto prende un calcio su Instagram. Una volta i gatti si tirava di tutto, loro scappavano e poi tornavano. Ma da un po’ gli animali sono i nuovi esseri umani, quindi è ovvio che siano scattate subito indignazione, sollevazione popolare, insulti, rivolte, minacce, offese e poi, naturalmente, la Grande Sanzione. Il West Ham lo ha messo fuori rosa (come ha fatto il Manchester United con Greenwood, accusato di violenza sessuale sulla sua ragazza, più o meno la stessa cosa di dare un calcio a un gatto, no?) e gli ha dato 250 mila sterline di multa. Uno degli sponsor della squadra ha sospeso la partnership e Adidas, sponsor personale del giocatore, lo ha mollato. La società dell’offesa è alla perenne ricerca di vittime da sacrificare sull’altare del perbenismo.
Un tempo ci si esaltava per i calciatori che rompevano le regole, oggi che anche i rocker con problemi di prostata e il terrore di essere dimenticati fanno i virologi censori su Spotify, il calciatore è diventato un modello di virtù: deve essere impegnato per i diritti, antirazzista, animalista, progressista, vaccinato e sempre e solo sportivissimo. Chi sgarra è fuori. Il culmine si è toccato con Wayne Rooney, che qualche giorno fa in un’intervista ha detto che durante l’intervallo di una partita del 2006 aveva cambiato i tacchetti degli scarpini, optando per quelli più lunghi, perché “volevo fare male a qualcuno”. Quello che fino a qualche tempo fa sarebbe rimasto un aneddoto sulla sana ruvidezza del calcio è diventato invece oggetto di un’indagine ufficiale della Football Association. Nel 2022. Per un episodio del 2006. Rooney è bianco e cattolico, quindi non ha speranze. Allo sciagurato Zouma, francese di origini centrafricane, resta almeno una carta: quella del razzismo. Sarebbe un cortocircuito perfetto..
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA