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la bici de oro

Epopea di Federico Bahamontes, l'Aquila di Toledo che stupì i francesi

Marco Ballestracci

Non solo Bartali il toscano. Il ciclista, primo spagnolo a vincere nel 1959 il Tour de Franceè stato soprattutto il simbolo della Mancia

Ritengo, da appassionato e, diciamo così, da praticante della materia, che il ciclista su cui più si è scritto e raccontato, tolta evidentemente la cronaca nera, sia Gino Bartali. E’ incredibile la produzione di libri che lo riguarda e che, è certo, lo riguarderà in futuro, tanto che ci si può chiedere se abbia davvero vissuto solo ottantasei anni, di cui oggetto dell’epopea praticamente ventisei: dal 1934 al 1960. Le ragioni di questo grande proliferare di libri che parlano di lui sono diverse, ma dietro a quelle più sistematicamente ripetute – la rivalità con Fausto Coppi, il carattere fumino, la più recente passione nei suoi confronti coltivata da un grande cantautore astigiano, nonché i documenti d’identità falsi nascosti nel telaio della bicicletta – potrebbe celarsi un motivo poco considerato, ma  che è comunque sotto gli occhi di tutti: la grande capacità affabulatoria toscana, fiorentina in particolare. 


Gino Bartali in questo senso potrebbe essere considerato l’equivalente moderno di, per esempio, Ugolino della Gherardesca, che è senza dubbio il personaggio più citato della Commedia, così come il suo Canto – il trentatreesimo dell’Inferno – è il più declamato nei convivi dei cacciatori e dei potatori d’olivi della Valdarno. Sotto questo punto di vista il Conte Ugolino, piuttosto che essere insidiato dall’arcivescovo Ruggeri, trova i suoi antagonisti in Fausto Coppi e, soprattutto, considerato che si parla di vecchie ruggini tra maledetti toscani, in Fiorenzo Magni.

 


Gino Bartali aveva una grande capacità affabulatoria, e potrebbe essere considerato l’equivalente moderno del Conte Ugolino



Diciamo che la grande tradizione letteraria toscana ha certamente giovato al successo sempiterno di Ginettaccio e ciò apre alcune considerazioni sul rapporto che esiste tra la fecondità letteraria d’una regione e la diffusione della sua epopea sportiva.


In Spagna, per esempio, esiste una comunità che più di tutte le altre è pregna di significati e immagini letterarie. La Mancia (più precisamente Castiglia – La Mancia) è disseminata delle vestigia d’uno dei più grandi personaggi che la fantasia d’uno scrittore abbia mai partorito. Quasi ovunque nelle piazze dei paesi spunta l’immagine magra e lunga, in genere in ferro battuto, dell’ingegnoso cavaliere Don Chisciotte della Mancia e, in lontananza, dei suoi ribaldi e giganteschi avversari: i mulini a vento che presidiano ancora le alture di Consuegra e di Campo de Criptana e che oggi sono pure affiancati dalle persino più minacciose pale eoliche.


Perciò, di conseguenza, ci si aspetterebbe che le imprese d’un campione manchego, anche se accadute molto tempo fa, dovrebbero risuonare gagliardamente ovunque e, soprattutto, tra le vie del labirinto della capitale della Mancia, che è anche l’antica capitale dell’impero spagnolo: Toledo.


Pare tuttavia improbabile che una città così splendida, colma di tutto ciò che di artistico si può immaginare, possa essere sensibile al fascino secolare d’un qualsiasi sport.


Eppure nonostante il misterioso intrecciarsi delle viuzze, la grande quantità di opere di El Greco, la cattedrale di Santa Maria, sinagoghe e moschee, i ponti sul Tago, tutto rigorosamente tutelato dall’egida dell’Unesco che l’ha resa Patrimonio dell’umanità, c’è ancora chi arriva in città per trovare il negozio di biciclette dell’Aquila di Toledo che è aperto dal 1958 e per cercarlo s’infila nel groviglio di stradine sotto alla fortezza dell’Alcazar con a portata di mano l’indirizzo preciso.


Dopo il consueto passare e ripassare sul medesimo luogo, tipico d’un labirinto, alla fine l’appassionato giunge in Plaza de la Magdalena, di fronte al civico 11. Sfortunatamente però il celebre negozio, segnalato persino nelle guide turistiche francesi, olandesi e belghe, è stato chiuso nel 2004 e alcuni scuotono la testa vedendo sfumare l’occasione di vedere e, perché no, finalmente toccare l’Aquila di Toledo.

 


L’Aquila di Toledo è in realtà una persona. E’ lo scalatore Federico Martin Bahamontes, primo spagnolo a vincere nel 1959 il Tour de France



Il visitatore deluso può comunque trovare rapida consolazione, perché nel centro storico tutti sanno dare indicazioni puntuali: dopo quattordici anni dalla chiusura del negozio l’Aquila è finalmente riapparsa in città sotto forma di statua,  collocata sul Paseo del Miradero, uno slargo sulla strada che sale fino al centro storico e che domina, come è giusto che sia per un uccello così nobile, tutta la Mancia.


Il monumento è opera d’uno scultore valenciano – Javier Molina – e “immortala un corridore ciclista che in salita esprime il massimo sforzo”, testuali parole dell’artista.


Ciò accade perché l’Aquila di Toledo è in realtà una persona. E’ lo scalatore Federico Martin Bahamontes, primo spagnolo a vincere nel 1959 il Tour de France. Il fatto che gli sia stato dedicato un monumento, che è in realtà la sua fedele effige mentre scala uno dei colli del Tour – non è escluso che si tratti del Puy de Dome, dove nell’anno della vittoria inferse un gran bella legnata ai francesi – potrebbe far pensare a un omaggio al più celebre cittadino di Toledo che è dipartito da questo mondo, ma non è così. Federico Martin Bahamontes ha novantatré anni e vive nella sua casa di Villanueva de San Mancio, molto vicino a Valladolid, dove si è trasferito nel 2015 e nel 2018 ha gagliardamente presenziato nella sua città d’origine all’inaugurazione della statua che lo immortala, dispensando ampi cenni di saluto urbi et orbi mentre ne attraversava il centro storico seduto sul sedile posteriore di un’auto scoperta, come si addice alle grandi celebrità.


I dati anagrafici sentenziano che, senza ombra di dubbio, Bahamontes è il più anziano vincitore del Tour de France ancora vivente o, detto in modo leggermente diverso, ma forse più significativo, che l’edizione del 1959 del Tour de France è la più remota della storia ad avere il vincitore ancora tra noi.


Più vecchio di lui c’è solo Raphael Geminiani, che ha novantasei anni, ma che è salito “solo” due volte sul podio della grande corsa francese, nel 1951 e nel 1958, ma non si è mai fregiato dell’incommensurabile titolo di “vainqueur du Tour de France”.

 


Bahamontes è l’antitesi dell’eroe di Cervantes, nonché dell’indole un poco tronfia che veniva attribuita agli spagnoli fino al 1959



Tuttavia, nonostante la prossimità geografica di Don Chisciotte e di Bahamontes, nonché dell’attitudine giornalistica  a soprannominarlo “El caballero de la trista figura”, probabilmente a causa della sua andatura in pianura ciclisticamente assai antiestetica, Federico Martin è l’antitesi dell’eroe di Cervantes, nonché dell’indole un poco tronfia che veniva attribuita agli spagnoli fino a che, appunto nel 1959, uno di loro non s’impose nella corsa in bicicletta più importante del mondo.


Fino ad allora i francesi non avrebbero mai creduto che un dondolante spagnolo – come altri prima di lui forte in salita, ma desolatamente scarso in discesa e in pianura – avesse potuto vincere il Tour de France, così come Ronzinante non avrebbe mai potuto condurre il suo padrone alla vittoria in un duello a cavallo, perché Don Chisciotte rappresentava l’inconcludenza d’un popolo e Cervantes, come tutti i grandi scrittori, l’aveva perfettamente colta all’inizio del Diciassettesimo secolo.


Però quando sul Puy de Dome e sulla Col de La Romeyere Bahamontes mise in fila come birilli i quattro moschettieri francesi – Henry Anglade, Jacques Anquetil, Roger Riviere e Francois Mahè – che, alla fine, si classificarono in quest’ordine in classifica generale, anche i transalpini compresero che l’indole d’un popolo può cambiare, magari poco, ma quanto basta per non avere più delle certezze così ferme. 

E’ la medesima essenza, persino letteraria, che si attribuisce alle tre vittorie di Gino Bartali e di Fausto Coppi nei Tour de France del Dopoguerra: tre vittorie, soprattutto quelle del 1948 e del 19 49, che ridiedero dignità all’unico popolo che, nella storia, era appena riuscito a pareggiare una guerra.


In questo senso c’è un commovente legame tra l’autentico riscattatore d’Italia, Fausto Coppi, per la classe e  il carattere così apprezzato dai francesi e Federico Martin Bahamontes.

Lo spagnolo vinse il Tour del 1959 correndo per la Tricofilina – Coppi e quindi seguito in veste di manager proprio dal Campionissimo, che c’è da credere immaginasse la prosecuzione della sua vita nel mondo della bicicletta.

Una foto immortala Coppi nella casa toledana di Bahamontes, probabilmente quando vi si recò nella primavera del 1959 per la firma del contratto di sponsorizzazione, mentre, come in un gioco di specchi, osserva un’immagine incorniciata appesa sul muro del salotto.


E’ Bahamontes perpetuato in una foto splendida mentre sale in completa solitudine il Colle del Galibier.


Non è difficile figurarsi che, davanti all’immagine, l’animo di Coppi prorompesse di nostalgia ripensando al tempo in cui erano le sue imprese in solitudine a scandire i grandi momenti del Tour de France. Ciò nonostante la vittoria del corridore spagnolo al Tour rappresentò l’ultima grande soddisfazione sportiva di Fausto Coppi prima del maledetto 2 gennaio 1960.

 


Una foto immortala Coppi nella casa toledana del ciclista spagnolo mentre guarda una foto appesa al muro  del Colle del Galibier



Probabilmente Bahamontes parlava anche a nome del Campionissimo quando nel 2013, in occasione della centesima edizione della corsa francese, l’Equipe lo nominò miglior scalatore della storia del Tour de France. Certamente non criticò la scelta del giornale che lo riguardava, ma, ricordando i grimpeur che aveva incontrato e ammirato, si espresse in questo modo a proposito del secondo posto assegnato a Richard Virenque: “Se Virenque è uno scalatore io sono Napoleone Bonaparte!”. 


C’è tuttavia da chiedersi quanti in Italia conoscano l’Aquila di Toledo e ne conservino il ricordo. Francamente non lo so, ma a tal proposito ho un vissuto personale.


Da bambino giocavo coi tappini. Passavo i pomeriggi a disegnare le divise dei corridori da infilare nel rovescio dei tappi a corona. Un po’ di corridori li conoscevo, ma avevo bisogno di individuare altri nomi di professionisti in attività, perché il barista che fungeva da fornitore di tappi di bibite era pressoché inesauribile nel consegnarmeli. Perciò per incrementare il mio personale gruppo di corridori chiesi aiuto a mio padre: “Papà, dimmi un po’ di nomi di ciclisti forti che ne ho bisogno”. “Devi assolutamente mettere Bahamontes che è un corridore fortissimo”. Perciò lo inclusi tra i miei tappini, solo che era il 1975 e Federico Martin Bahamontes, l’uomo che scalerà eternamente le montagne sul Paseo del Miradero a Toledo, si era già ritirato dal ciclismo dieci anni prima.

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