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Kupp, alette di pollo, difesa e altre storie di ordinaria follia al Super Bowl

Filippo Cauz

I Los Angeles Rams vincono il titolo battendo i Cincinnati Bengals in un'America dove 1,5 milioni di persone oggi si daranno malate al lavoro

Due settimane fa, una coppia di Cincinnati è andata a vedere il Championships Game contro i Kansas City Chiefs insieme agli amici nel bar del quartiere. Non c'erano molte speranze di andare avanti: era già un miracolo essere arrivati sin lì, 31 anni dopo l'ultima partita vinta nei playoff, la più lunga striscia negativa nella storia degli sport professionistici statunitensi. Una squadra giovane, promettente, ultimamente anche fortunata... ma da lì ad arrivare al Super Bowl ce ne passava. Invece è successo, nel tripudio della città dell'Ohio. Festa, gioia, birre. A fine partita la moglie si è alzata per andare in bagno e il marito ha tirato fuori dalla tasca il cellulare. Quando è tornata lo ha trovato con una faccia strana. Avrebbe dovuto aspettarla, discutere insieme la scelta, ma non resisteva. Nel giro di pochi minuti ha speso ventimila dollari per comprare due biglietti per il Super Bowl.

Ci sono un'infinità di storie, aneddoti, curiosità che aiutano a definire la partita più importante dell'anno. Un vecchio adagio dice che è una sfida da cui non escono vincitori e vinti, ma soltanto sopravvissuti. Un recente calcolo ha stimato che nella sola domenica del Super Bowl vengono consumate 1,33 miliardi di alette di pollo, 5 tonnellate di patatine fritte e 1.240 milioni di litri di birra. Una statistica ha misurato in 1,5 milioni gli statunitensi che oggi si sono dati malati al lavoro. A loro andrebbero aggiunti tutti gli studenti delle scuole pubbliche di Cincinnati, la cui chiusura nel lunedì post-partita è stata fissata preventivamente, a prescindere dal risultato.

I superstiziosi potrebbero dire che non ha portato bene, ma per i Bengals e tutti i loro tifosi questi playoff e questo Super Bowl erano già qualcosa di più grande di un risultato. Il punter Kevin Huber, che a Cincinnati è nato e gioca da 13 anni, li ha definiti semplicemente un sollievo, una liberazione. Per i tifosi nero-arancio la fine di una maledizione. O forse l'inizio di un'altra, perché il ritorno all'atto finale per la terza volta ha maturato una terza sconfitta. Arrivata all'ultimo, e contro una squadra che dallo spirito di rivalsa era più animata che mai.

Sta tutto negli ultimi sei minuti il carico emotivo del Super Bowl numero 56, il secondo di fila a premiare la squadra che gioca nello stadio di casa. Fino a due anni fa non era mai accaduto, ma, a pensarci bene, due anni fa lo stadio di Inglewood nemmeno esisteva. Mancano sei minuti e venti secondi alla fine della partita, i Bengals conducono 20-16 e i protagonisti della rivalsa dei Los Angeles Rams sono tutti lì. Uno è fuori dal campo, indossa una felpa grigia e viene costantemente inquadrato dalle telecamere: è Odell Beckham Jr, l'autore dei primi punti della serata, che a metà partita ha dovuto alzare bandiera bianca per un infortunio al ginocchio. Odell è uno dei ricevitori più talentuosi al mondo, ma anche una testa calda che si trova sempre azzoppata dal suo carattere. È stato bandito dal suo ex-college, ceduto dalla sua prima squadra e addirittura tagliato dalla successiva. A metà di questa stagione si è trasferito ai Rams, impegnati a investire il tutto per tutto per vincere il titolo, ed è giunto fino al Super Bowl, da protagonista. In campo la palla è nelle mani di Matthew Stafford, alla prima finale dopo 13 anni in Nfl, dodici dei quali trascorsi tra le fila dei Detroit Lions, una delle squadre peggiori in circolazione. Stafford non si è mai arreso, nonostante la pochezza che lo circondava ha giocato anche da infortunato, cercando sempre di guadagnare quel centimetro in più. Ed è entrato nel cuore di tutta Detroit, dove si è impegnato in progetti di beneficenza, ha aiutato la comunità ed ha preso una posizione forte e solidale dopo l'omicidio di George Floyd. "Non possiamo limitarci al football", ha sempre detto. Poi è arrivata la chiamata dei Rams e l'occasione unica di ottenere l'unica cosa che gli era mancata: la vittoria. L'uomo verso cui Stafford lancia i palloni è Cooper Kupp, fresco di nomina ad attaccante dell'anno. Ed è qualcosa di sorprendente, perché Kupp è cresciuto a Eastern Washington, nella periferia dei college americani, quella da cui non arrivano i grandi giocatori. Selezionato al terzo giro del draft nonostante i numeri importanti accumulati in gioventù, Kupp ha fatto l'onesto subentrante nel suo anno di esordio prima di rompersi un legamento crociato e ricominciare tutto da capo. La sua è stata una carriera ad inseguimento, fino a quest'anno, all'esplosione a 28 anni.

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Passati subito in svantaggio, gli sfavoriti Bengals avevano saputo ricucire con pazienza il filo della partita con un maestoso drive di sette minuti nel secondo quarto e una ripartenza-shock (per i Rams) dopo l'intervallo, che li aveva portati in netto vantaggio. Con la freschezza mentale di chi ha meno da perdere, i giovani di Cincinnati, che paiono davvero uscire da un romanzo di Stephen Markley, sembravano aver azzeccato tutte le scelte giuste, e a differenza degli avversari stavano riuscendo ad evitare la tentazione dell'errore. Una volta passati in vantaggio, però, la partita sembrava essersi impantanata in una estenuante serie di sack e drive inconcludenti. Fino agli ultimi sei minuti, quando Stafford e Kupp si ritrovano. L'intesa che aveva portato i Rams sino in finale si risveglia nel momento più importante. Prima è solo una yard per chiudere un down. Poi un lancio per entrare nella redzone avversaria. Quindi un touchdown. E quando viene annullato per una penalità, un altro touchdown, questa volta valido. 23 a 20, con un minuto e venticinque da giocare. Per un talento come Joe Burrow sarebbe il tempo sufficiente per inventarsi qualcosa, ma la rivalsa a Los Angeles non è solo per gli attaccanti.

Il Super Bowl numero 56 si chiude con ancora 40 secondi sul cronometro e Aaron Donald che corre per il campo indicandosi l'anulare della mano sinistra. È lì che vuole mettere al più presto l'anello che celebra i vincitori, e viene difficile immaginare un dito più adatto nella Nfl di oggi. Donald non è soltanto il difensore più dominante della lega, ma è ormai ritenuto ampiamente tra i più grandi di ogni tempo nel suo ruolo. Un'opinione condivisa anche da un veterano come Von Miller, che da qualche mese lo affianca nella difesa dei Rams. Che una figura come Donald non avesse ancora l'anello al dito sembrava uno scherzo del destino. Invece l'ultima azione del Super Bowl è sua: un sack su Joe Burrow e il Vince Lombardi Trophy che non se ne va dalla California. In fondo è emblematico che sia un'azione difensiva a chiudere la stagione, perché è dallo strapotere delle difese che nascono le squadre di Sean McVay, divenuto a 36 anni il più giovane allenatore di sempre a vincere un Super Bowl. Era già arrivato in finale nel 2019, ma venne oscurato nella lettura della partita dal vecchio saggio Bill Belichick e dai suoi Patriots. Anche per McVay, che nonostante la giovane età lancia già segnali di possibile ritiro, questa è una rivalsa.

Rams e Bengals hanno dato vita a un Super Bowl che non sarà ricordato come il più spettacolare, ma che ancora una volta, e forse più di altre volte, segna le vite dei suoi protagonisti. Sono due squadre distantissime da ogni punto di vista, tranne forse l'origine. I Rams nacquero a Cleveland, Ohio, nel 1936, prima di alcuni spostamenti di sede. I Bengals nacquero a Cincinnati, Ohio, 30 anni più tardi dopo che il loro fondatore fu cacciato dai Browns, che avevano raccolto proprio l'eredità dei Rams a Cleveland.

I nuovi campioni Nfl sono una squadra dal futuro imperscrutabile: la campagna vincente l'ha svuotata di scelte prioritarie nei prossimi draft e ne ha saturato lo spazio salariale. Il loro ciclo potrebbe finire per essere vincente ma breve, forse già concluso. Dall'altra parte i Bengals sono arrivati al Super Bowl in anticipo sulle previsioni. Nelle ultime due stagioni erano stati tra le squadre peggiori della lega, cosa che gli ha permesso di accaparrarsi Burrow e Ja'Marr Chase al draft e di far ripartire un ciclo. Vero è che la storia della NFL è piena di cicli promettenti mai decollati, così come di giovani fenomeni che non hanno mai avuto una seconda possibilità, ma l'impressione è che questo Super Bowl possa essere soltanto l'inizio per loro. E chi ha speso ventimila dollari per andarli a vedere, o chi ha voluto essere in aeroporto ad accoglierli approfittando di scuole chiuse e assenze dal lavoro, può pensare anche a questa giornata con ottimismo.

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