La confindustria del Pallone
La “Mission impossible” di Bonomi: riformare il lavoro nel calcio
Dopo l'addio di Dal Pino, la Lega calcio è in cerca di una figura autorevole che sappia parlare alla politica. Il presidente degli industriali ha dato la sua disponibilità, ora deve trovare nell'assemblea di domani i 14 voti necessari all'elezione. Ma la pattuglia dei “lotitiani” è sempre molto battagliera
“Basta rinvii, basta veti, basta giochetti”. Era settembre, quando all’assemblea generale della Confindustria, il presidente Carlo Bonomi nel suo discorso programmatico aveva pronunciato i concetti sintetizzati da questa frase. Sono le parole che dovrebbe ripetere anche domani se la Lega calcio, la cosiddetta Confindustria del Pallone, dovesse trovare i 14 voti necessari per eleggerlo alla presidenza in sostituzione del fuggitivo Dal Pino. I veti incrociati, i giochetti pericolosi, i rinvii dei problemi, sono all’ordine del giorno tra i presidenti della nostra serie A, da sempre alla disperata ricerca di qualcuno che riesca a metterli d’accordo, magari riuscendo pure a fare rispettare le intese prese anche una volta usciti dalla stanza. Il 20 maggio del 2020 Carlo Bonomi è stato eletto alla presidenza di Confindustria con 818 voti favorevoli e un astenuto. Un plebiscito che non avrà mai tra i padroni del pallone, dove la pattuglia dei “lotitiani” è sempre molto battagliera. Sabato, quando sono cominciati i sondaggi, portati avanti dal presidente del Cagliari Tommaso Giulini e da quello del Torino Urbano Cairo, Bonomi ha dato la sua disponibilità. Inter, Milan e Juve sono d’accordo a votare un candidato così prestigioso. Ma si sa che le assemblee di via Rosellini sono peggio di quelle condominiali in cui si litiga su tutto.
La Lega Calcio inseguiva una figura autorevole che sapesse parlare alla politica. L’ha cercata anche tra i politici di professione, ma senza una vera convinzione. Bonomi ha il carisma e l’esperienza per trattare con chiunque. Al massimo ci sarebbe qualche riserbo sul tempo che potrà dedicare al pallone. Ma se ha dato il suo assenso deve aver fatto bene i conti e soprattutto deve aver fatto capire ai presidenti che lo hanno cercato di non aver nessuna intenzione di interpretare il ruolo di presidente di facciata, accettando solo con la speranza di poter premiare la sua squadra del cuore, che è l’Inter, a fine stagione. Bonomi è un uomo del fare, dicono i suoi amici. Uno che assume un incarico per lasciare un segno e non soltanto per aumentare la sua (già alta) presenza mediatica.
Sarebbe bello (e anche indispensabile per il futuro del pallone) se alla prima assemblea da presidente Bonomi si presentasse con una cartellina intitolata “La riforma del lavoro nel calcio italiano”. Perché soltanto da lì si può partire per costruire qualcosa di significativo e salvare il pallone dalla sua irrefrenabile voglia di autodistruzione. Scontato che si lotti per riportare la capienza degli stadi al 100 per cento, garantito che si cercherà di ottenere dei ristori post pandemia. Ma quello di cui il calcio avrebbe davvero bisogno sono degli interventi strutturali che possano riformare una volta per tutte il costo del lavoro. Non c’è attività al mondo che possa continuare a vivere pagando stipendi al di sopra delle proprie possibilità. Ci sono società che lo hanno capito e hanno cominciato a tagliare gli ingaggi senza più cadere ai ricatti dei procuratori.
Il problema è che così facendo hanno cominciato a perdere a parametro zero giocatori che sotto contratto avrebbero garantito un bel gruzzoletto in caso di cessione. La Lega calcio come Confindustria dovrebbe “scegliere di cambiare”. Nella sua ultima apparizione al Tg1, Bonomi ha detto tra l’altro che “il lavoro è una parte fondamentale della nostra Costituzione. Confindustria ne avverte tutta la responsabilità, ma è arrivato il momento per tutti di scoprire una nuova stagione di doveri”. Anche questo discorso sarebbe perfetto per i presidenti. Anche loro avrebbero il dovere di spendere in ingaggi meno di quanto incassano, di non ipotecare incassi futuri per continuare a pagare stipendi esagerati a giocatori che poi non entrano neppure in campo. Il problema non sono gli ingaggi delle stelle, quelli che con i loro numeri contribuiscono a riempire gli stadi. Il problema sono gli stipendi di una riserva che guadagna come un ceo. Bonomi dovrebbe cominciare proprio da lì per salvare il calcio. Ma probabilmente mettere d’accordo i sindacati è più facile.