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L'Inter contro il Liverpool si è fermata al limite dell'area di rigore

Giuseppe Pastore

Quella che per i nerazzurri era la partita europea più importante degli ultimi dieci anni, con tutti i pro e i contro del caso, per il Liverpool è stata ordinaria amministrazione. Quello che in Italia basta e avanza, in Champions no

Si parla di sfortuna, di rimpianto, di “bravi lo stesso”. Che poi “bravi lo stesso” è una frase assai ambigua e scivolosa e ci sono intere discipline sportive che sull'autocommiserazione ci campano da decenni. Dunque facciamo gli italiani, cinici per definizione quando si parla di calcio: uno 0-2 in casa non merita mai applausi, a maggior ragione quando alla voce “tiri in porta” compare un desolante zero (va detto che per le statistiche, che non hanno anima né colore, la clamorosa traversa di Calhanoglu non è considerata “tiro in porta”, quindi sarebbe più giusto se il numerino fosse 1). Per 70 minuti l'Inter gioca una grande partita ma solo fino al limite dell'area, laddove dovrebbero entrare in scena le individualità necessarie a trasformare il fumo in arrosto – almeno, di solito in Champions funziona così. Invece il miglior attacco della Serie A fa scena muta contro un Liverpool da 6 meno meno, per una serie di ragioni non del tutto imputabili ai soli Dzeko e Lautaro Martinez, che pure da un paio di mesi stanno facendo parecchia fatica anche tra le più malleabili mura amiche.

 

Quella che per l'Inter era la partita europea più importante degli ultimi dieci anni, con tutti i pro e i contro del caso, per il Liverpool è stata ordinaria amministrazione. E così l'ha interpretata: facendosi andare a lungo bene lo 0-0, che con l'abolizione della regola dei gol in trasferta è molto più prezioso che in passato, subendo ma restando fiducioso sulla propria superiorità tecnica e sulle risorse a disposizione. Confidando, al limite, di ritrovare tra tre settimane ad Anfield un Salah e un Mané molto più presentabili di quelli di San Siro, ancora alle prese col mal d'Africa. Certo, quando sei seduto su una regale panchina da almeno 200 milioni di cartellini la vita ti sorride: il triplo cambio di Klopp al 60', con Henderson, Keita e Luis Diaz rovesciati in campo tutti insieme, è sembrato una discreta dichiarazione d'intenti. L'allarme Red ha iniziato a suonare in quel momento, acceso dagli sprechi reiterati dell'Inter, soprattutto per chi ricordava com'erano andati a finire altri precedenti sciupìi nerazzurri a cominciare dal più recente, il derby perso 2-1 con un'ultima mezz'ora similmente bruciante. Allargando il raggio all'intera stagione, la banda Inzaghi si scopre piuttosto refrattaria all'ultimo quinto di gara, purtroppo per lei il più decisivo di tutti: se prendiamo in esame gli scontri diretti con le altre top 5 della serie A più quelli contro Real Madrid e Liverpool, scopriremo che dal 75' in avanti l'Inter non ha mai segnato e ha invece subito 8 gol. Inter-Liverpool ha avuto un copione sinistramente simile a Inter-Real Madrid, tanto che all'ennesimo “ultimo passaggio” sbagliato si iniziavano a sentire scricchiolii in lontananza: anche a settembre i nerazzurri avevano vinto il premio della critica salvo arrendersi all'89' a una combinazione delle riserve di lusso Camavinga-Rodrygo.

 

Inter-Liverpool 0-2 è una sconfitta insidiosa perché figlia di tutto e niente, in cui il bianco e il nero si mescolano tra loro come sulla tastiera di un pianoforte. Per esempio: parso piuttosto appannato in quasi tutti i big match di questo ciclo infernale, Calhanoglu ha giocato la miglior partita del 2022. Perisic, per nulla distratto dal contratto in scadenza e anzi forse pungolato dall'acquisto di Gosens, si è confermato il miglior giocatore stagionale dell'Inter. A destra Dumfries è sempre più inamovibile e continua a giocare su frequenze vietate al resto d'Italia. Ma non è bastato, come solitamente non basta mai contro Liverpool, City, Bayern, eccetera. Quantomeno il risultato finale – magrissima consolazione – solleva l'Inter da particolari pressioni psico-fisiche per la partita di ritorno. Il bruciante epilogo lascia inevase, anzi amplifica questioni rimaste fin qui sotto traccia di fronte all'eccellente rendimento dell'undici titolare: che fare se c'è un calo di forma che riguarda due o più titolari? Che fare con un Handanovic che continua a far storcere il naso, con un Dzeko che passa molto più volentieri che tirare, con un Lautaro che ha smarrito la cattiveria agonistica che nel 2021 lo ha reso una punta di valore mondiale? Che fare se una squalifica o un mal di pancia leva di mezzo uno dei tre bravissimi Barella-Brozovic-Calhanoglu? Si tratta di questioni onestamente risolvibili nella bassa marea del campionato italiano, visto che il furore atletico e tattico esibito nei primi due terzi di gara basterà e avanzerà per travolgere il 90 per cento della Serie A; e del resto la seconda stella resta obiettivo imperativo nella stagione di una squadra che stasera, nella più bieca retorica auto-assolutoria del nostro calcio, “non ha perso ma ha imparato”. È più meno un decennio che al cospetto degli squadroni europei, specialmente quelli inglesi, non facciamo che imparare e basta: è proprio vero che gli esami non finiscono mai.

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