Un'Atalanta all'americana
Dopo Bologna, Fiorentina, Genoa, Roma, Milan, Spezia e Venezia un altro club verso gli States. Percassi è pronto a cedere il 55 per cento del club a un fondo Usa
Beh, Gasperson il soprannome anglosassone ce l'ha e quindi con i nuovi proprietari americani dell’Atalanta troverà delle assonanze. L'ironia è un po' per celia e un po' per non morire. La storia va in questa direzione, ma vedere finire in mani straniere l'Atalanta, fa un po' lo stesso effetto di una griffe di moda, di una grande acqua minerale (siamo il paese delle acque minerali) che cambiamo bandiera, insomma di un marchio storico che non è più nostro. Anche se resterà qui, ci mancherebbe altro. L'Atalanta è il club di calcio più innovativo degli ultimi anni. Dalle prime notizie sull'accordo per cui, come si dice in questi casi, manca solo la firma, la famiglia Percassi conserverebbe il 45 per cento delle azioni e la gestione del club, con Luca Percassi confermato amministratore delegato. Quindi, ai fini pratici, non cambierebbe nulla. L'asse tra i Percassi e Gianpiero Gasperini, che ha prodotto il modello Atalanta, un modello formato esportazione come pochi nel football italiano, continuerebbe a conferma di quanto creato negli ultimi sei anni.
Anche in questo caso, come per le ultime cessioni di società italiane, i nuovi padroni, dunque, sono americani. Un fondo, Kkr, tanto per cambiare che avrebbe speso 350 milioni. Una cifra enorme, se verrà confermata.
L’american way of italian football è qua. In Serie A troviamo il Bologna (che è del canadese Joey Saputo, ma siamo lì); la Fiorentina (con il vulcanico, eufemismo, italo-americano Rocco Commisso); il Genoa (appena passato da Enrico Preziosi dal Fondo 777 Partners); il Milan (Fondo Elliott); la Roma (Dan Friedkin e prima ancora James Pallotta); lo Spezia (Robert Platek); il Venezia (Duncan Niederauer). In Serie B il Parma (Kyle Krause); la Spal (Joe Tacopina, che è transitato da Roma, Bologna e Venezia prima di arrivare a Ferrara); il Pisa (Alexander Knaster, businessman russo-americano). Recentemente anche il Cesena, attualmente in Serie C, è diventato a stelle e strisce (John Aiello e Robert Lewis). C’è un grande interesse per il calcio italiano, ma gli americani quando si muovono, specie se si tratta di fondi di investimento, alla fine vogliono vedere alzarsi il montepremi. Insomma la passione c’entra poco, è una questione di business. In alcuni casi hanno preso società in difficoltà e hanno tentato di rilanciarle, riuscendoci. Questo è un fatto positivo.
Vedremo cosa succederà con l’Atalanta, ma fin da ora si può dire che siamo di fronte a una svolta epocale. L’Atalanta è legata ai Percassi e Antonio, il patriarca della famiglia, è un enfant du pays, un ragazzo di Clusone che è diventato prima giocatore, poi presidente della "sua" squadra. Cresciuto nelle giovanili, era un difensore degli anni ‘70, di quelli per cui veniva usato l’aggettivo "arcigno". Il pallino degli affari dicono che lo avesse già con le scarpe con i tacchetti. Lo ha confermato diventando un imprenditore di successo che spazia dall’edilizia ai centri commerciali fino al "food&beverage": sua la catena di ristoranti Wagamama e la regia dell’operazione Starbucks in Italia.
Ma la sua passione per il calcio e per l’Atalanta lo ha sempre spinto a rispondere in prima persona quando l’Atalanta aveva bisogno di lui. Una prima volta nel 1990 (fino al 1994) dopo la morte di Cesare Bortolotti. Una seconda volta nel 2010 dopo la malattia che aveva colpito Ivan Ruggeri. In entrambi i casi la sua linea è stata quella di favorire una crescita della squadra con il potenziamento del settore giovanile in simbiosi – specialmente durante la sua seconda presidenza, considerata l’evoluzione del mercato del calcio – con l’ingaggio di calciatori stranieri anche questi da valorizzare e, all’occorrenza, da rivendere con plusvalenze sensazionali. L’Atalanta non ha mai abbandonato la famosa scuola di Zingonia, fucina di talenti in erba. Fu proprio Percassi, nella sua prima presidenza, a strappare al Como il leggendario Mino Favini, rabdomante di giovani speranze.
C’era già, nelle premesse, il salto di qualità della nuova Atalanta, quella che da cinque anni si è insediata stabilmente ai piani alti del calcio italiano ed europeo, quella che si è qualificata per la Champions League ininterrottamente dal 2019 e nel 2020 è arrivata a sfiorare l’ingresso in semifinale. Questo è avvenuto con la saldatura tra la gestione societaria dei Percassi con la filosofia "tremendista" di Gianpiero Gasperini, arrivato a Bergamo nel 2016. La bravura del presidente è stata quella di non cedere alla sindrome più diffusa tra i suoi colleghi e cioè, "l’esonerite". Un po’ come Silvio Berlusconi, un altro imprenditore di successo che ha trasformato il Milan ancora sbandato per lo scandalo scommesse degli anni '80 nel club galattico che dominò in Italia e in Europa, Percassi tenne duro sull’allenatore mentre altri colleghi più bruschi avrebbero già proceduto al licenziamento. Berlusconi resistette, all’inizio della stagione 1987-88, alle pressioni della stampa unita, tenendo la barra a dritta con Arrigo Sacchi che aveva ancora meno blasone di Gasperini, e da lì cominciò l’avventura rossonera. Allo stesso modo Percassi non vacillò dopo un inizio stentato con quattro sconfitte (l'ultima in casa con il Palermo) e il penultimo posto dopo cinque partite. Confermò Gasperini e saldò un rapporto che ha creato la storia della nuova Atalanta, con il rinnovamento del centro tecnico di Zingonia, con lo stadio di proprietà, con la frequentazione stabile dell’Europa. Un rapporto di fiducia che ha retto anche quando Gasperson si è trovato in rotta di collisione con il Papu Gomez, bandiera indiscussa, idolo dei tifosi. La linea è quella che il club viene prima di tutto. Ecco, per questo preoccupa un po’ vedere l’Atalanta ceduta. Questo è un meccanismo perfetto. Vogliamo sperare che non s’inceppi, in mani diverse.