Foto LaPresse

Fiorentina-Juventus è un questione cromatica

Davide Ferrari

Bianconeri e Viola giocano la semifinale d'andata di Coppa Italia. Per capire la loro rivailità serve affidarci a Michel Pastoureau e al suo "Il piccolo libro dei colori"

“Il destino, quando apre una porta, ne chiude un’altra. Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro”. Quando Victor Hugo pronunciò questa frase non poteva certo immaginare che un giorno Fiorentina e Juventus si sarebbero sfidate per una semifinale di Coppa Italia a poco più di un mese dal passaggio di un giocatore come Dusan Vlahovic dall’una all’altra squadra. Il dissapore tra le due tifoserie è cosa nota. Se poi ci mettiamo a elencare i nomi dei trasferimenti beh… non vorremmo essere tra le fila dei tifosi della Viola.

Dall’ultimo calciomercato sono cambiate parecchie cose in casa Juve. A dire il vero, sono cambiati equilibri molto più a est di Torino e ben più importanti e preoccupanti di quelli calcistici. Intanto la nebbia dei mesi scorsi ha lasciato qualche spiraglio ai raggi del sole e finalmente s’intravede il mondo a colori: la speranza per i tifosi è quella che l’ultima parte di stagione prenda la piega di un arcobaleno al termine del quale mi piace pensare che, come ci dicevano da bambini, si trovi un tesoro, o almeno qualcosa che ci dica dei nostri sogni e desideri, delle nostre speranze. In tutti sensi.

  

Facciamo un passo indietro: come se non fosse sufficiente il fatto che dalle parti di Firenze si siano portati a casa qualcosa come 78 milioni circa di plusvalenza, tutti hanno passato giorni a chiedersi il perché e il percome di un trasferimento del genere, se ci fossero i soldi o meno, se la Viola sia o no la cantera della Juve, al punto che i tifosi bianconeri ringraziano i rivali – a questo punto ex – di sempre con un simpatico cartellone: “Da Baggio a Vlahovic passando per Chiesa… Grazie succursale e alla prossima spesa”.  Ma è davvero possibile spiegare questo andirivieni tra Firenze e Torino senza tirare in ballo, come al solito, servilismi, giochi di potere, aiutini, ruberie e chi più ne ha più ne metta?

Proviamo ad affidarci a Michel Pastoureau che ne Il piccolo libro dei colori prova a darci un consiglio: “Imparate a pensare a colori, e vedrete il mondo in un altro modo!”. Che nel calcio i colori siano importanti e un dato di fatto, al punto che i cromatismi della maglia definiscono la squadra senza bisogno di nominarla. I colori però sono lunatici, non si lasciano imprigionare in categorie; nessuno sa quali e quanti siano. I bambini per esempio ne nominano spontaneamente tre; Aristotele ne contava quattro. Ma per Pastoureau non ci son santi: ne esistono sei, non di più. Insieme al blu, al rosso, al giallo e al verde, non potevano certamente mancare il bianco e il nero. Non si offenda nessuno – del resto l’ha detto il pallone d’oro di questa materia – ma il viola non c’è. È solo un colore di secondo livello. Un comprimario insomma… E questo vorrà pur dire qualcosa no? Inoltre il bianco è il colore della vecchiaia e della saggezza, e il tutto si addice a una Vecchia Signora. Apro una parentesi (sento già le risate dei detrattori, e della maggioranza dei tifosi avversari, ma pace): il bianco è anche il colore dell’innocenza. Il nero invece è un colore da prendere con le molle, come la Juve di questi tempi di alti bassi e di infortuni a raffica, ma non è così uniforme e disperato come si tende a credere.

  

Nonostante la lezione di Rubens, pittore colorista come nessun altro, che si appassionò così tanto a quei colori, al punto da assoldare squadre di incisori per far riprodurre e diffondere i suoi quadri in bianco e nero, quell’anti-juventino di Newton, rendendo visibile la composizione dello spettro dell’arcobaleno, ci aveva provato ad escludere i nostri colori preferiti e a mettere proprio il viola al primo posto del continuum cromatico.

La verità è che “non si potrebbe fare a meno del bianco e nero per descrivere il mondo a colori”!

E sarà per questo che dopo gli illustri trasferimenti del Divin Codino, del capitano Chiellini, Bernardeschi, Federico Chiesa, del trascurabile Felipe Melo e della comparsa Neto, questa volta la società ha superato se stessa assecondando i desideri dei tifosi e di un fuoriclasse dal talento cristallino che ha già fatto dimenticare Ronaldo nonostante abbia sulle spalle lo stesso iconico numero 7.

Probabilmente lo sapevano non solo Di Livio, Torricelli, Cuccureddu e Gentile – per citare alcuni pilastri tra i più vincenti – ma anche i vari Mutu, Amauri, Balzaretti, Marchionni, Maresca, Miccoli, Zanetti che, prima di vestire il viola, hanno pensato bene di dipingere le proprie carriere con i colori di primo livello.

Proprio come la Juventus, “col bianco, suo compare, il nero ha dato luogo a un immaginario a parte, a una rappresentazione del mondo veicolata dalla fotografia e dal cinema, a volte più veridica di quella descritta dai colori” e come insegnano le ultime giornate di campionato, “l’universo del bianco e nero, che si credeva relegato nel passato, è ancora qui, profondamente ancorato ai nostri sogni e forse al nostro modo di pensare”.

 

Dopo gli anni d’oro in cui abbiamo visto una Juve in HD con la Joya e il Pipita, dismessi i VHS, i CR7 e ormai anche i DVD, speriamo stasera di goderci una partita in DV7 e di giocarci questa sfida con l’eleganza del nero e la serenità del bianco, senza fare la solita confusione a centrocampo che, di solito, sembra più un quadro di Jackson Pollock.

Di più su questi argomenti: