il foglio sportivo
Salvare San Siro, nel nome di Giuseppe Meazza
Il nipote di Peppin: “Lo stadio dedicato a mio nonno è un gioiello da salvaguardare”
Nonno e bambino, mano nella mano. “Sarà stata a metà anni Settanta, la mia prima volta a San Siro: ricordo che nel prepartita lui mi portò negli spogliatoi dell’Inter”. Lui poteva: era Peppìn, storia della Nazionale e di tutta Milano. “Lì c’era Mazzola, che mi sorrise. E riprese a riscaldarsi con Facchetti, in mezzo a quel ticchettio di scarpini che risuona ancora. Poi, al nostro arrivo in tribuna, la gente si alzò in piedi e fece partire l’applauso. Succedeva così tutte le volte”. Oggi Federico Jaselli Meazza ha 53 anni, i racconti di famiglia li ha trasformati in un libro – Il mio nome è Giuseppe Meazza, ExCogita Editore, 2010, insieme a Marco Pedrazzini – e la sua ultima sfida è preservare lo stadio che porta il nome di suo nonno dalle mire demolitrici del nuovo calcio. “Il sindaco Sala ha appena ribadito che la cerimonia d’inaugurazione di Milano-Cortina 2026 si terrà qui: almeno per altri quattro anni ce lo possiamo godere. Speriamo per sempre, perché questa è un’immagine che non invecchia. Altrimenti non verrebbe sfruttata per le Olimpiadi”.
Oltre ai sentimenti, è una questione di testa. “Voglio dare il mio contributo anche a distanza”, il nipote di Peppìn racconta al Foglio sportivo da Madrid, dove lavora in una multinazionale e gestisce l’Inter club della capitale spagnola. “Mi sono da poco unito al Comitato SìMeazza, un’iniziativa per sensibilizzare i milanesi e tutti coloro che hanno a cuore San Siro. Per far sì che lo stadio venga mantenuto, rimodernato ma mai abbattuto: è un gioiello architettonico, sicuro, garantisce una visuale unica, perfino l’acustica è apprezzata dalla concertistica di punta. La Uefa stessa lo considera uno degli impianti più belli d’Europa. E quindi del mondo”. Sembra un’astronave atterrata nella periferia milanese, scriveva il Times nel 2009. Ora a difenderla ci sono i suoi extraterrestri: Mazzola e Moratti, Rivera e Donadoni. Poi Enrico Ruggeri, Laura Pausini. “Tutti parte del Comitato”, nato da un paio di mesi e già con un migliaio di iscritti. “Merito anche di qualche piccola battaglia legale. Quando il progetto per il nuovo stadio è stato definito di pubblico interesse abbiamo fatto ricorso al Tar: nella dichiarazione del comune di Milano”, proprietario dell’impianto, “non viene motivato perché rivalorizzare la struttura già esistente sarebbe impraticabile. La giunta deve delle spiegazioni e a oggi non le ha date. Semplicemente perché è impossibile farlo”.
Nel SìMeazza non ci sono solo appassionati e testimonial. “Ma anche architetti, politici come Luigi Corbani”, ex vicesindaco di fine anni Ottanta, quando a San Siro si costruiva il terzo anello in vista di Italia 90. “E poi gli ingegneri. Due di loro, Riccardo Aceti e Nicola Magistretti, hanno già presentato la valida soluzione alternativa. E conservativa”. L’ha spiegata anche Maurizio Crippa, sulle pagine del Foglio: riqualificare il Meazza, convertendo proprio quel terzo anello nelle aree business e merchandising tanto agognate da Inter e Milan. Verrebbe a costare 350 milioni anziché 650. “Non capisco davvero perché finora questo progetto non sia stato considerato”, insiste Meazza junior. “Qui vedo ogni giorno cosa fa il Real Madrid per salvaguardare il Bernabeu e allo stesso tempo assicurargli un futuro di livello mondiale. Perché non fare lo stesso con San Siro? Perché esporsi a un impatto economico e ambientale devastante?”.
Demolire l’impianto significherebbe smaltire 200mila metri cubi di cemento armato. “È come spazzare via un viadotto a due corsie: macerie, polveri, inquinamento sonoro. Secondo le stime, ci vorrebbero sei anni. E poi volete sapere il colmo?”. Prego. “Ufficialmente, Inter e Milan non hanno ancora presentato il progetto definitivo. La giunta dice che manca ancora tutto. E la burocrazia non c’entra. Finora le parti si sono accordate senza coinvolgere il consiglio comunale, la voce dei cittadini. Ma c’è ancora tempo per il dialogo. Nei prossimi mesi aspettiamo un’udienza pubblica: cosa ne pensa davvero la città? Lo stadio Meazza è il terzo sito più visitato dopo il Duomo e il Castello sforzesco”. La Scala del calcio, non a caso. “Un simbolo. Non possiamo assistere impotenti ai piani delle due proprietà” che con il nuovo progetto si vedrebbero rinnovare la concessione d’uso a un quinto del costo attuale. “E il comune non può limitarsi a rispondere che questo è il volere dei club, quando invece il patrimonio è di tutti i milanesi”.
Ancora una volta, martedì a San Siro si accenderanno i riflettori sulla stracittadina: rossoneri e nerazzurri in campo per la semifinale d’andata di Coppa Italia. “I ragazzi di Inzaghi saranno carichi dopo la beffa in Serie A. Che di derby in questa cornice ce ne siano ancora tanti”, l’augurio di Federico. Da buon interista, il primo pensiero va “a quel famoso 0-4 dell’agosto 2009, il viatico del triplete. Ma anche al colpo d’occhio delle coreografie: qualcosa che tutto il mondo ci invidia e difficilmente riproducibile in un altro stadio con lo stesso impatto. È l’effetto Meazza, che ti avvolge, ti scalda, sia per una partita o un concerto. Negli ultimi cinque anni ha ospitato l’ultimo atto di Champions, le final four di Nations League, ora guarda ai Giochi: se i main event continuano a darvi fiducia, non vedo perché non debba farlo Milano”.
Sarebbe d’accordo anche nonno Peppìn. Il nipote ne è sicuro. “Da calciatore ci ha giocato poco”, con la maglia del Milan o da avversario, perché fino al 1947 l’Inter disputava le gare casalinghe all’Arena civica. “Ma già all’epoca veniva considerato lo stadio del futuro: lui oggi lo difenderebbe a spada tratta. A prescindere dalla cerimonia del 2 marzo 1980”, quando il sito venne intitolato a Giuseppe Meazza. “Fui io, ancora ragazzino, a togliere il drappo che copriva il ceppo commemorativo. Un’emozione unica, che mi fece scorrere addosso tutte quelle domeniche trascorse insieme”. Federico fa una pausa. “Il nonno ci sgridava eh, quando io e gli altri bambini facevamo casino: alla partita bisognava sempre stare attenti”. Eppure, perfino un gentiluomo come Meazza aveva un debole. “Quando le lancette dell’orologio indicavano la mezz’ora del secondo tempo, era il momento di alzarsi e andare verso la macchina: detestava trovare traffico”. Per i comuni spettatori, tuttora una cafonata. Ma a casa sua ognuno è re.