Foto ANSA/CLAUDIO PERI 

La maledizione della Milano-Torino

Giovanni Battistuzzi

È la corsa ciclistica più antica che è arrivata sino a noi, eppure è sempre stata in bilico, sempre a rischio. E non solo per quell'anatema lanciato da un parroco nel 1876

C’è niente di più antico al mondo. Almeno arrivato sino a noi, almeno nel ciclismo. Era il 1876 quando la “la Direzione del Veloce-Club di Milano ha deliberato di dare una corsa di velocipedi nel giorno 25 maggio (tempo permettendo) da Milano a Torino, chilometri 150, libera a tutti. Il luogo di partenza è a Porta Magenta (S. Pietro in Sala), alle ore 4 antim.”.

Si presentarono in otto quel giorno. Centocinquanta chilometri, quasi un secolo e mezzo fa, era distanza più che rispettabile, quasi “proibitiva”. L’entomologo ed esploratore Paolo Magretti, studioso che contribuì alla classificazione di insetti di tutto il mondo e che diede un grande contributo per lo studio degli insetti imenotteri (a farla semplice api, vespe, formiche e tante tante altre), fu il primo ad arrivare al traguardo posto “alla barriera di Porta Milano a Torino”, dopo aver completato “lo spazio da percorrersi da Milano a Magenta, Trecate, Novara, Cameriano, Borgo Vercelli, Vercelli, S. Germano, Tronzano, Cigliano, Chivasso, Settimo, Torino”.

Ci impiegò dieci ore e nove minuti. Sei minuti in meno di Carlo Ricci Garibaldi e dodici in meno di Bartolomeo Balbiani.

Era una follia la Milano-Torino allora, “una cosa da folli diabolici. Dio fulmini l’uomo che l’ha inventata”. Non la prese bene don Augusto Tozzaelli, parroco di una chiesa nei pressi di Torino davanti alla quale la corsa passò. Leggenda vuole che il prete lanciò un’anatema contro la gara e che questo sia alla base delle sventure che la Milano-Torino incontrò lungo la sua strada.

Mai stata semplice la vita per la Milano-Torino. Nata “troppo affaticante” nel 1876, fu dimenticata fino al 1893. Il Veloce-Club di Milano voleva trasformarla in un appuntamento fisso, ma i litigi tra due degli iscritti, che si erano intestati entrambi l’idea di quella corsa, la fecero saltare per altri due anni. Tornò nel 1896, ma finì a cazzotti dopo la linea d’arrivo e nessuno se la sentì fino al 1903 di organizzarla di nuovo.

Nel 1903 la Gazzetta ci riprovò. Piove a dirotto quel 24 maggio. Le strade sono inondate dal fango, ma Giovanni Gerbi quasi non se ne accorge. Il Diavolo Rosso a Novara è già solo e non lo rivedranno più. Nemmeno dopo l’arrivo. Anzi Gerbi non vedrà neppure l’arrivo, dato che non era stato ancora montato. Gli organizzatori se l’erano presa comoda, avevano stimato una corsa di almeno cinque ore. Giovanni Gerbi ce ne impiegò quattro, ventitré minuti e diciotto secondi. Fu un cronometrista a riconoscerlo e a convincere il direttore della Gazzetta Eugenio Costamagna, dopo quasi un quarto d’ora di discussione, che il vincitore era già arrivato. Costamagna si arrabbiò a tal punto che giurò che quella corsa non sarebbe stata più disputata.

Fu Eliso Rivera, il cofondatore della Gazzetta, a convincerlo che quella corsa non poteva essere cestinata. Nel 1905 ci riprovarono: vinse Giovanni Rossignoli, ma fu un fiasco colossale. Erano passati trent’anni dalla prima edizione e il tracciato era diventato troppo semplice. Costamagna disse “mai più”.

Solo nel 1911, quando le corse organizzate dalla Gazzetta dello sport passarono sotto la supervisione di Armando Cougnet (colui che organizzò il primo Giro d'Italia), la Milano-Torino ritornò. Percorso totalmente nuovo, grande spettacolo e squilli di trombe. Vinse Henri Pellissier, francese. Il corridore giusto per dare internazionalità alla gara. Non bastò neppure questo. L’anno successivo saltò per problemi interni al giornale. Venne ripresa nel 1913, la guerra la bloccò nel 1916, il fascismo tra il 1926 e il 1930. Nel 1986 saltò a causa di un litigio tra Uci e organizzatori sulla data, nel 2000 a causa dell’alluvione che devastò il Piemonte.

La grande crisi arrivò nel 2008. Gli sponsor latitavano e l’Associazione Ciclistica Arona fu costretta a rinunciare a dare il via. Per quattro anni si pensò che fosse tutto finito, che la corsa si fosse definitivamente persa per sempre. Si rimise in piedi anche quella volta. Le maledizioni non possono durare per sempre.

Negli anni era cambiata, mutata, non si riconosceva più. Da un drittone piatto piatto, aveva fagocitato salite qua e là, poi si era inventata corsa ascensionale fin su al santuario di Superga.

Ora lo è ad anni alterni.

Una volta campo libero a scalatori e affini, l’altra ai velocisti. Corsa moderna, contro le discriminazioni. Corsa antica che prova a resistere al passare del tempo, capace di cambiare, mutare percorso e disposizione nel calendario. Mai stata semplice la vita per la Milano-Torino.

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