Quando Bologna era l'ombelico del tennis italiano
La Coppa Davis torna nel capoluogo emiliano. La città ha visto transitare nomi e sogni di questo sport, "un trampolino di lancio per molti" ci dice Omar Camporese
Ora che è tornata, tutti a dire che era passato troppo tempo, che bisognava pensarci prima. L’ombelico dell'Italia (del tennis) torna a essere Bologna. Lo sarà per i prossimi cinque anni con la Coppa Davis, che torna sotto le due torri dopo quarantasei. Un tempo lunghissimo, amplificato dalla storia e dagli avvenimenti.
L’ultima volta finì nell’incredibile. Era il 1976: l’anno di Radio Alice e del movimento studentesco, l’anno del primo Motorshow, l’anno in cui nacque la Fonoprint, lo studio di registrazione di Dalla e Morandi, di Vasco Rossi e Ivano Fossati, e la Virtus Sinudyne vinse il settimo scudetto nel basket mentre la funivia che portava dalla città al colle di San Luca si fermava per sempre. In quel ’76 l’Italia del tennis giocò a Bologna – sui campi dei Giardini Margherita – la partita contro la Jugoslavia di Željko Franulovic e Nikola Pilic, entrambi finalisti al Roland Garros. Non ci fu partita, 5-0 per gli azzurri. Quella era “la squadra”, quella di Corrado Barazzutti, Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, che alla fine quella Davis la alzò in Cile davanti a Pinochet.
C’è qualcosa di speciale che lega il tennis a Bologna. L’aria dei circoli, la storia, la tradizione. Qui è nato nel ’68, altro anno rivoluzionario, Omar Camporese, un braccio come pochi, grande protagonista in azzurro, “purtroppo mai nella mia città”.
Bologna è una delle culle del tennis nazionale, ha visto transitare nomi e sogni. “Un trampolino di lancio per molti. E siccome si dice che sono le grandi manifestazioni a trascinare, questa della Davis è una grande notizia. Non vedo l’ora che Bologna possa tornare come una volta, negli anni 90 era la capitale dello sport” dice Camporese.
C’è stato un tempo in cui la lista dei campioni nasceva qui, tra quei vicoli del centro in cui non riesce a perdersi neanche un bambino, come cantava Dalla.
Circoli che hanno fatto la storia. Se il Ct Bologna è stato l’ultimo a ospitare la Davis, la gloriosa Virtus nel ’70 vide il passaggio di consegne tra Panatta e Nicola Pietrangeli, con il giovane Adriano che si prese la scena in un'epica finale degli Assoluti. Sui campi di via Galimberti sono passati quasi cento anni di storia, una sfilza di eccellenze che qui sono nate, sono venute su, e poi diventate celebri in giro per il mondo.
Lele Spisani, maestro storico della Virtus Tennis, 83 anni, ha avuto fra i suoi allievi Camporese, ma anche i romagnoli Raffaella Reggi e Gianluca Rinaldini. E Paolo Canè, altra gloria azzurra e cittadina, che proprio a Bologna vinse l’ultimo torneo Atp della sua bella carriera, nel 1991, davanti a una città impazzita. Spisani ricorda ancora la grandezza e la forza di uno sport inscindibile da Bologna. “Quando ho cominciato io, davano una lira all’ora per fare il raccattapalle. Agonisticamente parlando mi sono scoperto scarso, ma amavo insegnare e siccome ero stato raccattapalle di tutti i maestri Virtus mi sono inventato una specie di riassunto di tutti quanti, e mi sono divertito”. C’era quando Pietrangeli e Panatta si sfidarono per il titolo italiano, “la gente aveva riempito tutta via Galimberti, io ho fatto l’arbitro di quel match”. Spisani c’era anche tutte le volte in cui la Davis è venuta a Bologna negli anni 50 e 60.
Nel 1952, sulla terra della Virtus, l’Italia supera 4-1 la Gran Bretagna. Grandi protagonisti della sfida Rolando Del Bello, nel momento migliore della carriera, e Fausto Gardini, tra i primi idoli tennistici italiani, che proprio in quel 1952 ha debuttato in Coppa Davis. Gardini e Del Bello vincono tutti i quattro singolari contro Tony Mottram, ex finalista in doppio a Wimbledon, e Geoffrey Paish, allora tennista part-time che diventerà poi uno dei più influenti dirigenti nello sport britannico del secondo dopoguerra. La vittoria conduce gli azzurri alla semifinale europea, in un percorso terminato con la finale interzone in Australia. Nel 1956, per i quarti di finale della zona europea. Beppe Merlo, l’inventore del rovescio bimane, Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola misero ko 4-1 la Danimarca. “Alla Virtus costruirono un’ala intera del club per l’occasione, l’evento era incredibile”.
Ai Giardini Margherita, invece, nel 1966, l’Italia sconfisse per 4-1 l’Unione Sovietica ancora con Nicola Pietrangeli protagonista. Preziosi, in quell’incontro valido per il primo turno della zona europea, i due punti vinti in singolare da Sergio Tacchini, alla penultima apparizione in Coppa Davis: avrebbe poi giocato solo i singolari della semifinale persa in quell’edizione contro il Sudafrica. La prima volta fu nel 1937. E l’Italia a Bologna ha sempre vinto. Nel presentare l’arrivo della Coppa Davis a Bologna, il presidente della Federtennis Angelo Binaghi ha parlato di “centralità”, di un luogo “fondamentale” per il tennis italiano. Lo stesso capitano azzurro, Filippo Volandri, è passato da Bologna. Dal Crb, che oggi non c’è più, l’hanno chiuso. “A Bologna Filippo ha vinto quattro volte lo scudetto. Qui ha trovato amici, a Bologna ci viene sempre volentieri. Sono certo, c’è anche il suo contributo dietro questa assegnazione” spiega Antonio Padovani, ex maestro di Volandri proprio al Crb. “L’arrivo della Davis a Bologna sarà un momento spettacolare per il tennis. Anche perché il momento è favorevole. Ne vedremo delle belle”.