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dopo il disastro

Il fantasma di Banquo Balotelli, ultimo vero bomber, sul calcio italiano

Maurizio Crippa

Nel day after più grottesco della storia del calcio azzurro, è tutto un fiorire di: "Eh, ci fosse stato Balotelli". Chissà se in quell’istante di tormento Mancini ha pensato al campione bullo che non è riuscito a trasformare. Proprio lui, il Mancio, lo fece esordire a 17 anni come un vero predestinato

"Voglio più bene ora ai ragazzi che dopo la vittoria a Wembley", ha detto il Mancio con quel groppo negli occhi che non serve altro per capire che è sincero. E chissà se nel segreto di quel dolore ci fosse una spina in più: per il Mario, per Balotelli. Se in quell’istante di tormento l’uomo di Jesi ha pensato a lui, al campione bullo che non è riuscito a trasformare. A Balo che non c’era, nell’ultima notte fatale. Non l’ha voluto, non lo aveva portato. Proprio lui, il Mancio, che lo fece esordire a 17 anni come un vero predestinato; che se lo portò al City e gli fece vincere una Premier, lo coccolò e lo bastonò come un figlio finché poté farlo. Perché a Mario il Mancio ha sempre voluto bene. O per dirla meglio: a Balo, il Mancio è stato forse l’unico, in tutto il mondo del calcio, che gli ha voluto bene. E ora, nel day after del disastro più grottesco della storia del calcio azzurro, è tutto un fiorire di eh, ci fosse stato Balotelli.

A febbraio lo chiamò e disse: “Non l’ho convocato perché siamo disperati. Lui è un attaccante forte e qui le porte sono sempre aperte a tutti. Voglio capire se è in grado di darci una mano”. Poi deve aver capito di no, e infatti qualche giorno fa gli avevano chiesto (in Italia, anche fra dieci anni, continueranno a chiedere di Balotelli). E lui: “Lasciare un giocatore a casa dispiace sempre, ma Joao Pedro può fare anche la seconda punta e l’esterno d’attacco”. Ma siccome la “complessità” è ormai bandita dalla discussione pubblica, è giusto che sia bandita anche dal calcio. E dunque no: Supermario non sarebbe servito a una cippa. Per sua (non) volontà è ormai un ex, una promessa sfiorita. Anche se la motivazione con cui la maggior parte degli italiani (popolo di geopolitici e ct) lo boccia – e cioè che altri calciatori come Immobile, Berardi, e persino Belotti e Joao Pedro segnano più di lui – è una scemenza cubitale.

Il punto, di fronte al doloroso spettacolo non solo del Barbera l’altra sera, ma delle ultime sei partite di (s)qualificazione per il Qatar è che non c’è stato nessun attaccante che la buttasse dentro. Zero. E allora il fantasma di Balo, come quello di Banquo, aleggia non solo nel cuore del Mancio ma sulla storia recente del calcio nazionale. 
Mario Balotelli, classe 1990, nato un mese dopo le Notti magiche, è l’unico maybe fuoriclasse d’attacco italiano delle ultime due generazioni calcistiche. L’unico davvero. E se non hai uno che la butti dentro, è dura vincere. Così dopo il 2006 (in cui però Kaiser Toni segnò solo due gol), dal 2010 per due volte siamo tornati a casa dopo il girone e per le ultime due siamo sul divano. Diceva il Paròn Rocco che “una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono”. Di mona ci sono stati Rombo di Tuono e Pablito, e Pippo e Spillo e Bobo Vieri, anche se più di loro hanno segnato in Nazionale Robi Baggio e Alex Del Piero, che non erano primi punteros di mestiere e nemmeno di fisico. Per non dire del Pupone, tra i maggiori goleador della storia patria, ma non un nueve né un falso nueve.

Da allora, a parte gli asini che corrono, siamo rimasti che giovedì la Nazionale aveva: Ciro Immobile, zero reti nelle ultime sette in Nazionale, e 15 in 55 presenze. Lorenzo Insigne, che primo puntero non è: comunque zero nelle ultime nove in Nazionale. Il Gallo Bellotti, zero gol agli Europei. La verità del calcio italiano è qui. Sarà una questione genetica, sarà una questione dei vivai, sarà la belinata che “il sistema è da rifondare”, ma in Italia bomber non ne nascono più. Delle prime sei squadre di A, non una ha punte italiane. Coppie o quadriglie straniere. Per trovare la prima con un centravanti italiano si scende al settimo, alla Lazio. Dove Scarpa d’oro Immobile fa gol a grappoli. Ma alla Lazio, appunto. Giovedì si sperava nell’attacco del Sassuolo, che però è abituato a segnare a Sassuolo. Balo avrebbe cambiato il destino? Nemmeno al Fantacalcio. Ma il suo fantasma sta lì, sulle rovine del calcio nazionale, come un ammonimento: apres moi le deluge. Dopo di lui non c’è stato nessun italiano che, in potenza, avesse numeri, fisico e tecnica per diventare un top player nel suo ruolo. Non c’è riuscito, la storia è nota. Però, caro Mancio, per non puntare su Supermario l’altra sera abbiamo naturalizzato Joao Pedro. E non è che la prossima volta possiamo sperare che Messiah sposi un’italiana, per fare un gol.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"