Jan Ullrich e quella bicicletta per l'Ucraina

Giovanni Battistuzzi

L'ex corridore tedesco ha messo all'asta un modello unico che Pinarello fece per lui per festeggiare quel Tour de France che doveva vincere, ma che fu ribaltato da Marco Pantani sul Galibier

È mai stato facile essere Jan Ullrich. Perché avere un talento strepitoso e avere paura di perdere la propria dimensione privata, volere starsene tranquillo per conto proprio e ritrovarsi al centro dell’attenzione di un’intera nazione, anzi di un intero movimento che iniziava a diventare globale per davvero, è qualcosa di complicato da gestire, qualcosa che può stritolarti.

Soprattutto se vieni da un paese che mai prima di allora si era ritrovato a dare i natali a un corridore che aveva davvero la possibilità di vincere un Tour de France. La Germania era sempre stata terra di corridori tosti, ma buoni per le corse di un giorno, o per avventure solitarie ed estemporanee nelle grandi corse a tappe. Jan Ullrich sembrava un altro corridore del genere.

Andava forte Jan Ullrich, era riuscito a vincere i campionati del mondo tra i dilettanti nel 1993, a Oslo. Aveva dimostrato di essere un cronoman strepitoso. Poi si accorse di saper andare forte, molto forte, pure in salita. E la Germania aveva capito di avere in casa un ciclista fenomenale proprio nel momento, la seconda metà degli anni Novanta, nel quale le biciclette stavano ritornando per le strade e il paese iniziava ad appassionarsi al pedalare.

Ullrich dominò il Tour de France del 1997: diede nove minuti a Richard Virenque, quasi un quarto d’ora a Marco Pantani. Primo tedesco a vincere la Grande Boucle, l’elezione a eroe nazionale.

  

PAL PATRICK KOVARIK / ANSA 
  

Si immaginava mica potesse capitare tutto questo. Non avrebbe voluto che accadesse tutto questo. Lui voleva essere solo Jan Ullrich, il corridore.

Fu da quel giorno che Jan Ullrich iniziò a sbagliare.

Uno sbaglio dietro l’altro, un inseguimento continuo per rimediare ai propri errori.

Sbagliava preparazione, gestione del peso in inverno, sbagliava in gara e fuori dalle gare. E cercava sempre il modo di metterci una pezza, finendo, come un Paperino qualsiasi, a ingarbugliare sempre più le cose. Non lo faceva apposta.

La popolarità ha un peso troppo elevato per chi vorrebbe solo pedalare.

In tutto questo avvilupparsi, Ullrich continuava a salire sul podio del Tour de France. Perché il talento riusciva comunque a uscire, non abbastanza per vincere e segnare la storia del ciclismo, ma quanto meno per essere lì, a un passo dal successo.

Ullrich ha continuato a sbagliare anche dopo aver detto addio al ciclismo professionistico. Ormai c’aveva fatto la mano e per fuggire dall’abitudine non basta nemmeno il talento di Eddy Merckx. Ogni tanto cercava di sistemarsi, ogni tanto ricadeva nei vizi che aveva accumulato negli anni.

Chi lo conosce, chi gli è stato accanto per davvero negli anni nei quali molti degli autocelebratosi amici erano scomparsi a tal punto da abiurare, ha raccontato di una persona che cercava un posto nel mondo, che avrebbe avuto voglia di provare a sistemare le cose, con se stesso e soprattutto con quanto lui considerava ingiusto. Molte cose le ha fatte in silenzio, perché è in silenzio che le cose si fanno per davvero. Non sempre però il silenzio basta.

Jan Ullrich ha messo all’asta una bicicletta del 1998 per raccogliere fondi a favore dell’associazione "Ein Herz für Kinder”, fondata nel 1978 dal magnate dell’editoria tedesca Axel Springer. Fondi per i bambini dell’Ucraina, per portare loro aiuti e soccorso e assistenza a chi è malato o è rimasto orfano. L'asta ha fruttato 40.100 euro.

La bicicletta che ha messo all’asta Jan Ullrich non è quella che sulla quale ha pedalato durante il Tour de France del 1998. Non quella che ha visto iniziare una delle imprese più straordinarie, quella di Marco Pantani, e chilometro dopo chilometro ha assistito impotente a una delle rese sportive più disperate del ciclismo, non solo recente. All’asta ci finirà la bicicletta che Jan Ullrich avrebbe dovuto pedalare a Parigi qualora, come si pensava a metà di quella corsa, il tedesco fosse riuscito a vincere la sua seconda Grande Boucle consecutiva. Si tratta invece di un pezzo unico, giallo Tour.

Poi arrivò la tappa delle Deux Alpes. Il Galibier il 27 luglio 1998 fu il crinale tra due storie diverse, opposte. Due storie che sono la stessa. L’apoteosi del Pirata, la dissoluzione di quel tedesco che sembrava imbattibile ma che imbattibile non era.

 

GERO BRELOER / ANSA 
  

Si è mai davvero imbattibili. Si può sempre precipitare e sempre rialzarsi. Ullrich lo sa bene e spera che la discesa nella quale l’Ucraina è finita a causa della violenza russa possa interrompersi, che possa avere anche Kyiv un’altra possibilità, un riscatto.

Un riscatto che può passare in minima parte anche per una bicicletta. Dopo la prima guerra in Dombas è stata proprio la bicicletta a diventare un simbolo dell’opposizione all’imperialismo di Putin.

Era una bella bicicletta la Pinarello Paris che pedalava Jan Ullrich al Tour de France 1998. Era un’unione armonica di alluminio e carbonio con idee parecchio innovative e utili, a tal punto che divennero per più di un costruttore soluzioni da non poter non adottare.

Ullrich ha deciso che è ora di fare sentire la sua voce. Di rimettersi sotto i riflettori per una buona causa. Nella speranza di ritornare presto lontano da quei prosceni pubblici dei quali non sente la mancanza.