Motori glocal
Le vittorie italiane in F1 e MotoGp, mix di made in Italy con talenti e tecnologie globali
I successi italiani nascono a Borgo Panigale e diventano grandi grazie al resto del mondo
Domenica è stata per gli appassionati italiani quella che una volta si definiva “giornata da incorniciare”. All’alba, a Melbourne, Charles Leclerc e la Ferrari hanno centrato la seconda vittoria nei primi tre gran premi del campionato di Formula 1 (in Arabia Saudita Leclerc si era piazzato secondo con il compagno Carlos Sainz terzo): il 24enne monegasco, cresciuto nella Ferrari Academy, domina per ora la classifica piloti mentre in quella costruttori il Cavallino ha staccato in tre weekend la Mercedes di 39 punti e la Red Bull di 49. A sera, un’altra Rossa di tonalità più chiara, la Ducati di Enea Bastianini, ha centrato anch’essa la seconda vittoria; in quattro gare Bastianini è in testa al campionato piloti e la Ducati a quello costruttori. Al secondo e quarto posto ci sono due outsider, dopo anni di dominio giapponese: Ktm (austriaca) e l’italiana Aprilia di Noale, del gruppo Piaggio, che schiera Aleix Espargaró.
In questa sfida a motori e piloti tedeschi, austriaci, giapponesi, olandesi, inglesi e spagnoli (Mercedes e Red Bull, Lewis Hamilton e Max Verstappen, Fabio Quartararo e Yamaha e l’egemonia dei sei campionati di Marc Márquez con Honda), che sembrava vedere l’Italia soccombere rispetto al resto del mondo c’è una spiegazione che, al di là del sano nazionalismo da tifosi, racconta come la chiave del successo sia proprio la mondializzazione. In un settore oltretutto, quello di auto e moto, dove il trasferimento di tecnologia dalla pista al mercato è velocissimo. Ferrari è certo tutta italiana e quando Fca si fuse con i francesi di Psa in Stellantis, il gruppo Exor di John Elkann la tenne fuori, quotata a Milano e New York. Ma gli sponsor, da Qualcomm a Santander ai pneumatici Pirelli, e soprattutto ai piloti parlano di contratti, capitalismo e tecnologie globali. Nella MotoGp, l’eccellenza delle due ruote, l’intreccio è ancora più affascinante. (segue a pagina due)
Ducati, fondata nel 1926 a Borgo Panigale dall’omonima dinastia bolognese, ha vissuto di gloria passata e capitali pubblici fino al porto sicuro dell’ingresso in Lamborghini, dunque Audi, dunque gruppo Volkswagen. Denari tedeschi, tecnologia e management italiani, vendite tra Europa, Usa e oriente, globalizzazione pura. Ma pure in questo gruppo cosmopolita, che la classifica costruttori l’ha già vinta nel 2021 con Francesco Bagnaia e l’australiano Jack Miller, si è ora materializzata una concorrenza interna dove non manca il romanticismo. La Ducati che svetta nel Mondiale non è infatti quella ufficiale ma quella della Gresini Racing di Faenza, già dell’ex pilota e talent scout Fausto Gresini scomparso un anno fa per Covid. Il team Gresini ha resistito e si è rilanciato già con due vittorie grazie a Nadia Padovani, vedova Gresini, una tosta imprenditrice simbolo di tante altre come lei.
Aprilia, fondata nel Dopoguerra dagli industriali biciclettai Beggio, in MotoGp non aveva mai vinto, e in passato aveva provato a unire le forze proprio con il team Gresini. Il successo di quest’anno con Espargaró affiancato da Maverick Viñales, ex compagno di Valentino Rossi in Yamaha, è il primo frutto della gestione come ad di Massimo Rivola, ex team manager della Toro Rosso in F1, poi alla Ferrari dove tra le altre cose aveva guidato la Academy di Charles Leclerc. A portarlo in Aprilia è stato Roberto Colaninno, presidente e ad di Piaggio, imprenditore di lunghissimo corso. Mentre in altri sport ci si piange addosso sui troppi passaporti stranieri, la domenica speciale è al contrario il risultato di un intreccio di uomini, talenti, capitalismi senza frontiere, ma con passioni, hi-tech, patemi molto made in Italy, mai del tutto italiano eppure con molto del meglio italiano.