Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza
Guardiola e Simeone, opposti vicini
L'Atletico Madrid ha strappato il pareggio al Manchester City in una partita che rivela come i due non rappresentino modi di giocare a calcio inconciliabili
C’è un invisibile legame che unisce Simeone a Guardiola, Lucifero e il Creatore. È il filo della Passione, con la maiuscola, intesa come sofferenza. La notte di Madrid ci ha restituito un quadro meno chiaro di quello che avevamo in testa prima della gara di ritorno di Champions League tra Atletico e City. Prima c’erano i buoni e i cattivi, i giusti e gli sbagliati, i professori e gli sbandati. Ma dopo una partita come quella del Wanda Metropolitano, si sono spostati i giudizi, sono cambiati gli aggettivi, e tutti gli accenti sono andati a nascondersi dentro le parole. Insomma è caduta la teoria degli opposti. Guardiola ha fatto il Simeone e viceversa. In un clima che sapeva di fiamme e di condanna, la coda ha perso il suo diavolo, strisciando come un serpente per oltre cento minuti, alla ricerca del suo padrone.
L’Atletico ha giocato una partita enorme, di dedizione fisica, mentale e tattica. Nessuno l’aveva previsto. Tutti, me compreso, pensavano al sacrificio umano di undici giocatori trascinati sul patibolo e appesi come ladri. Pur nella grammatica piena di eccessi del linguaggio di Simeone, un uomo che in altri tempi avrebbe conquistato il mondo con la sua capacità di trascinare un popolo – ma gli altri tempi sono terribilmente tornati come sappiamo –, l’argentino vestito di nero, con i capelli tinti e il corpo vibrante, ha prima trascinato Guardiola dentro il suo giardino, una fitta matassa di piante carnivore, e poi si è aperto, come una rosa, ipnotizzando il Pep, il quale ha avuto il merito di farlo appassire senza subire la tentazione di potarlo.
È stata una partita rivelatrice di come il calcio presenti tante facce, tutte più o meno affascinanti. In precedenza il City aveva affrontato il Liverpool in Premier League, in un clima completamente diverso, che odorava d’incenso, ben lontano dal tanfo di bruciato di Madrid. Come dentro una grande parrocchia, le due squadre avevano giocato come bambini nel campetto, sfide totali, uno contro uno. Non attacchi contro difese ma migrazioni, ora a destra adesso a sinistra, con il pallone che rotolava veloce come sospinto dal vento. Persino l’arbitro, così impeccabile protagonista al Wanda, era sembrato inutile, come un prete che per l’appunto si fosse messo in mezzo solo per dare un po’ di ordine all’allegra ciurmaglia di bambini. Se, dunque, a Madrid abbiamo goduto di un inferno, a Manchester ci siamo rilassati dentro un paradiso. Sono gli opposti del calcio, quelli che contribuiscono a determinare la sua bellezza dentro una imprevedibile narrativa. Avvicinando, in un percorso mistico altrimenti impossibile, il Creatore a Lucifero.