il foglio sportivo
Pasqua sul pavé. La Parigi-Roubaix è una nuova esistenza
Da una scatola in latta sepolta durante la Prima guerra mondiale in un campo vicino alla Mosella è saltato fuori un santino della Sainte Vierge de Roubaix. Che non esiste. Il filo rosso tra pavé e fede che porta a Roubaix
Sainte Vierge de Roubaix non esiste. Non è, e non è mai stata, una chiesa, non c’è una sacra rappresentazione che la ritrae in nessun edificio di culto. Eppure la sua immagine – mani unite sul petto, sguardo rivolto verso l’alto, velo rosso e veste blu, ben diversa da quella che si trova nell’église Notre-Dame de Roubaix – attraversava le campagne del nord est della Francia, da Parigi si muoveva verso Roubaix nelle tasche anteriori delle maglie dei corridori. Un santino è stato ritrovato recentemente, lungo la Mosella. Era dentro una scatola in latta, sotterrata ai margini di un bosco. L’ha trovato un cerca tesori con il suo metal detector. Bip bip bip bip. Suonava all’impazzata. Sperava in qualcosa di ricco, si è ritrovato per le mani una foto di donna, un fazzoletto annodato, qualche franco di inizio Novecento. E lei, l’immagine della Sainte Vierge che non esiste. Che è però reale. Dietro poche parole. “In gloria tua al traguardo”. Un nome “père Chardol”. Una firma: “Octave Lapize”.
Octave Lapize trovò il tempo di vincere tre Parigi-Roubaix e un Tour de France prima di morire durante una battaglia aerea sulla Mosella il 14 luglio 1917. Per lui la Parigi-Roubaix era LA corsa, perché “nulla è più appagante di cavalcare campagne scomode per conquistare la grazia di un velodromo”. Era la corsa più importante dell’anno “perché consacrata alla Pasqua”. La Parigi-Roubaix è nata pasquale, lo è stata per decenni e a Pasqua verrà corsa quest’anno.
Louis Minart, capo-redattore del giornale sportivo Le Vélo, aveva deciso che quella gara, quella che aveva tracciato su una mappa per unire “quelle strade di pietra che non sembrano essere adatte al passaggio dei velocipedi”, si doveva disputare proprio nel giorno di Pasqua. L’obbiettivo era attirare il maggior numero di appassionati. Minart era un cattolico poco praticante, si era convinto che potesse essere un omaggio del ciclismo alla sacralità di quel giorno. La quasi totalità del clero locale non era però della stessa idea. Minart propose all’arcivescovo di Parigi, François-Marie-Benjamin Richard, di celebrare una messa alla partenza e all’arrivo, ma non ci fu niente da fare: “È abominio disputare una manifestazione sportiva nel giorno della Resurrezione di Cristo”. La prima Parigi-Roubaix non fu corsa il 5 aprile del 1896, ma il 19.
Il progetto di Minart si compì però l’anno seguente. E il via libera fu dato proprio dall’arcivescovado della capitale francese. Come fu possibile un cambio di opinione così repentino?
Père Chardol era parroco di Chatou, sobborgo di Parigi poco sopra Versailles. Père Chardol era un prete un po’ bislacco, uomo di spigliata intelligenza e grandi abilità relazionali. Nonché confessore e amico di Émile Loubet, che fu presidente del Consiglio nel 1892 e poi presidente della Repubblica francese. Père Chardol era anche un gran appassionato di biciclette. Fu tra i primi in Francia a benedirle, nonostante la quasi totalità del clero sostenesse fossero “oggetto diabolico”. Fu il pittore André Derain, uno dei padri del fauvismo, a descriverlo, in una lettera a Henri Matisse, come “visionario e appassionato. Uomo di lettere e scapestrato velocipedista”.
Père Chardol convinse l’arcivescovo di Parigi che la bicicletta fosse un mezzo portatore di fede, in quanto capace di avvicinare i fedeli alle chiese, e il ciclismo uno sport che proprio nella fatica era capace di avvicinare l’uomo a Dio.
Richard diede il benestare e la Parigi-Roubaix divenne appuntamento pasquale per decenni. E non poteva forse essere altrimenti. Perché la Roubaix, più di altre corse, porta con sé il Mistero, laico e in bicicletta, del periodo pasquale. È un passaggio tra pietre dure, scomode, crudeli come un Calvario, che si conclude su di un velodromo scorrevole, in un tripudio di trombe e applausi che sembra di entrare in un altro mondo. Una corsa che è una trasformazione di violenza e dolore in gioia e speranza. In una nuova esistenza. Perché si è mai uguali a quello che si era dopo aver incontrato il pavé della Roubaix, c’è qualcosa che cambia e per sempre. “La Roubaix è qualcosa che… non ti vengono le parole. È una stretta al cuore. Ti cambia i connotati, capisci che non sarai più lo stesso”, raccontò Franco Ballerini dopo aver completato la sua prima Roubaix. Lo chiamano Inferno del Nord, ma dal 1919 e per com’era ridotta quel fazzoletto di Francia dopo la Grande Guerra, ma è più che altro un percorso elevazione ciclistica e personale.