Il Foglio sportivo - That win the best
Chi l'avrebbe mai detto: i milanisti sono i nuovi interisti
Il perbenismo di chi si appella all'eticità e alla moralità anche nel mondo sportivo è un lasciapassare alla maggioranza che si sente dalla parte giusta della storia ma che non ha l'obiettività di commentare il gesto sportivo
Da quando lo sport è diventato magister vitae, supplenza di educazione civica, editoriale permanente del Guardian, il commento delle gesta sportive è stato sostituito dalla psicanalisi. Ciò che conta innanzitutto nel racconto di cosa ha fatto o non ha fatto un atleta è la sua storia personale, la sofferenza intima che in gara non possiamo intuire, il suo vissuto, il rapporto con il padre, l’assenza della madre, i suoi gusti sessuali e i suoi pronomi preferiti. Quello pesa più di tutto, nella società del desiderio e dell’offesa permanente. Se un atleta maschio decide di cambiare sesso e mentre è in transizione gareggia con le donne bisogna innanzitutto capire la sua sofferenza e il suo disagio, non dire che siamo di fronte a una truffa sportiva, e che non basta desiderare una cosa per avere automaticamente il diritto di farla. E chissenefrega del dibattito tra gli esperti, non ho bisogno di un medico che calcola con il bilancino il testosterone per dire se una cosa è giusta o sbagliata. Appellarsi alla sofferenza dell’atleta in transizione è un lasciapassare paraculo, che di botto cancella tutti i discorsi sulla parità tra uomini e donne nello sport, con queste ultime chiaramente penalizzate dalla presenza di ex uomini più forti di loro in gara.
Curioso che a fare duemila distinguo quando si parla di atleti trans siano gli stessi che si battono per i diritti delle donne nello sport. Questo per rispondere al bravissimo Angelo Carotenuto, che mi ha dedicato una cortese invettiva nella sua newsletter Lo Slalom qualche giorno fa, definendomi “giochetto riuscito” e “scaltro” per il mio articolo sulla gara ciclistica femminile in Inghilterra della scorsa settimana dalla quale un trans era stato (giustamente) escluso. Ho usato la formula “si sente donna” perché sono un ubriacone, non un medico, e mi interessava il caso rispetto alla questione sportiva, non avevo ambizioni di psicanalizzare Emily Bridges, e farmi andare bene tutto perché lei “soffre”. Brindo a Carotenuto, che è molto più scaltro di me, perché sa bene di essere nella maggioranza che si sente dalla parte giusta della storia e che ha già vinto, e quindi mi allunga il croccantino volterriano del “puoi dire le tue orrende cazzate, chi sono io per impedirtelo?”.
Io gli allungo una pinta di birra, e vi invito ad abbonarvi alla sua newsletter. Brindo anche ai tifosi del Liverpool, che durante la sfida con il Manchester United hanno cantato You’ll never walk alone per CR7 che aveva appena perso un figlio, e poi se ne sono fregati delle sofferenze del portoghese e hanno ficcato quattro pere alla sua squadra. E brindo ai tifosi milanisti, che vedo in piena ossessione complottista. Da due giorni contestano l’arbitro di Inter-Roma perché è nato vicino a Milano (e se fosse milanista?), fanno liste di proscrizione di varisti e guardalinee e postano sui social i video dei torti arbitrali subiti quest’anno. Io capisco soffrire perché la loro squadra del cuore non vince più come un tempo, ma che i milanisti sarebbero diventati i nuovi interisti non lo avrei mai detto.