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il foglio sportivo

Mourinho e la storia di un arci italiano con i fiocchi

Giampiero Timossi

L’altro volto dell'allenatore della Roma (che torna a San Siro contro l'Inter) tra l’omaggio a Diego, il ritorno a Milano e il racconto del volo con Toto Cutugno

È nato in Portogallo, ha un soprannome inglese, arriva circondato dalla folla ai Quartieri Spagnoli, allena una squadra di americani e sta per rivedere un’amante amatissima, una splendida milanese che a giugno di sei anni fa ha infilato nel borsone un passaporto cinese. Ora, al termine di questo stringato elenco, si può paradossalmente sostenere quanto segue: José Mourinho è l’italiano vero. L’idea magari non è nuova, ma è tornata per tutto un insieme di cose: nei passi che precedevano la visita della sua Roma allo stadio Diego Armando Maradona di Napoli, nelle parole che sono arrivate dopo il pareggio, nei pensieri che corrono all’appuntamento con la già amata Inter, quella che gli concesse un irripetibile triplete. L’idea che Mourinho fosse lo Specialone romano più che lo Special One londinese è nata qualche anno fa, volo Alitalia, decollo da Milano Malpensa e atterraggio Bucarest Otopeni. In business class quella sera viaggiavano in tre. Era pressoché irrilevante la presenza di un fortunato testimone, segnale che nell’ottobre del 2008 i giornali vendevano ancora qualche copia in più e non badavano troppo alle spese. Decisamente rilevanti le altre due presenze, che tra le nuvole diedero vita a una singolare coincidenza. Uno era appunto Mourinho, allenatore dell’Inter che da Bucarest avrebbe proseguito in jet privato verso il Mar Nero, a Costanza, per assistere alla sfida tra Romania e Francia, gara che doveva sancire il rientro dopo qualche acciacco del romeno Chivu e del francese Vieira, che poi si bloccò un’altra volta durante il riscaldamento. Entrambi i calciatori erano elementi chiave dell’Inter di Mou. L’altro viaggiatore sul volo Alitalia era Toto Cutugno, milanista, icona della canzone italiana. Parlò di tutto: Al Bano e Romina, Amalia Rodriguez, il Festival di Sanremo, il fado portoghese. Mourinho parlò di tutto questo, Toto ascoltava divertito, catturato, neppure gli venne in mente di citare la sua “Italiano vero”, canzone per la quale a Mosca e dintorni impazzivano ancora, prima di impazzire davvero e per ragioni drammatiche. È li che forse nacque quell’immagine dell’Italiano Vero nato in Portogallo.

 

Questa è però storia vecchia, due anni dopo e dopo aver vinto tutto Mou lasciò l’Inter e l’Italia, continuò a viaggiare, decollando da Madrid (Real), Londra (Chelsea), Manchester (United), ancora Londra, stavolta guidando il Tottenham. Per tornare finalmente un’estate fa in Italia. Anzi di più, a Roma. Quindi anche di meglio, perché è nella capitale e tra la sua gente, nella dialettica tra i suoi romanisti e i laziali, che l’allenatore poteva esprimere al massimo la sua italianità. Infatti è quello che sta accadendo. Nel bene e nel male sono molti gli argomenti che permettono a Mourinho di ottenere la cittadinanza italiana. Più nel bene, perché comunque puoi non ammirare l’uomo, non può esserti indifferente. E comunque sarebbe un esercizio di presunzione definire nel suo caso una linea di distinzione tra bene e male.

 

Primo, l’uomo di Setubal, nato il 26 gennaio 1963, è stato dato per bollito decine di volte. Probabilmente la storiella è iniziata a circolare già quando conquistò la Champions League con il Porto, dopo aver vinto l’anno precedente (2003) una Coppa Uefa. Storie, è lui che continua a rosolare gli avversari. Il punto però è un altro: quando vinci molto e lo fai anche con spocchia, arrivano solo pubblici elogi. Quando vinci meno te la fanno pagare. Questo è molto italiano: servili con i potenti, carogne con i deboli. Ed è, per esempio, meno anglosassone, mondo dove esiste più distacco per i vincenti e più silenzio o indifferenza per i perdenti.

 

Il secondo aspetto riporta a quel viaggio con Toto Cutugno. Mou dice: “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Intanto lo dice perché è curioso, come lo sono gli italiani. Conosce la storia, come dovrebbero fare tutti, soprattutto gli antenati dell’antica civiltà romana. È per questo che, alla vigilia della partita con il Napoli, l’allenatore della Roma è andato in visita nei Quartieri Spagnoli e si è fermato a rendere omaggio al murales di Diego Armando Maradona. Per ricordare, davanti a un sepolcro laico, una grande storia, non solo calcistica.

 

Terzo elemento di italianità? La cultura dell’oblio, che si può riassumere così: se serve è meglio dimenticare. Mou attaccava ogni giorno il suo rivale juventino Claudio Ranieri, martellandolo per una scarsa propensione alla lingua inglese. Mou è stato il primo a complimentarsi con Ranieri quando l’allenatore romano ha conquistato la Premier League con il Leicester. Così, perché alla cultura dell’oblio si può anche aggiungere una manciata di saper vivere, qualcosa che potrebbe tornar utile anche giovedì sera, quando Mou andrà con la Roma in casa del Leicester per la semifinale di Conference League.

 

Ultimi due inequivocabili segnali di italianità: dopo il pareggio contro il Napoli, l’Italiano Vero si è lamentato dell’arbitro (tipico) chiedendo “il diritto” di poter vincere. In Italia la sistematica rivendicazione dei diritti è tutto, mentre è considerato più trascurabile il rispetto dei doveri. E ancora: Mou sapeva che era il momento giusto per andare a caccia di ragionevole compassione. Già, perché stasera c’è Inter-Roma, ore 18. E se hai amato tanto, se hai spinto la tua passione alle manette e con quelle hai infiammato San Siro (ricordate il gesto del 20 febbraio 2010, Inter-Sampdoria 0-0?), se hai sedotto e poi abbandonato qualcosa devi inventare. Devi trovare il modo giusto per ripresentarti a casa dell’ex e provare a cavarne qualcosa di positivo. Il ricordo delle manette e delle antiche passioni, il sorriso pronto a riaccendersi sopra un broncio da allenatore penalizzato, oggi sembrano funzionare più che un cd del milanista Cutugno. Sono tempi tristi, rassegniamoci.

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