Il foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza
La storia tra Allegri e la Juventus è un'amore senza fine
Non sta scritto da nessuna parte, se non in uno sgualcito vocabolario delle frasi antipatiche, che vincere sia l’unica cosa che conta. Si può anche perdere e da una sconfitta rinascere. Basta continuare ad amarsi
Amarsi troppo è semplicemente una follia. Lo avrebbe detto un filosofo di cui sappiamo poco, nemmeno il nome. Dicono che sia impazzito e abbia cambiato identità, finendo per morire mendicando. Anche lui vittima del troppo amore verso se stesso. Se Allegri fosse come quel filosofo ci sarebbe da preoccuparsi. Che ne sarà di lui? Ma Allegri non si ama abbastanza, lo testimonia il fatto che avrebbe rifiutato il Real Madrid per tornare alla Juventus. Che cosa lo ha spinto a una scelta così rischiosa? Sapeva di trovare una squadra sbagliata in una società in lento assestamento in mezzo a piccole scosse, in un presente sussultorio, sia dal punto di vista tecnico che finanziario. Con dentro, sbriciolate in piccole lettere, l’idea fuori tempo della Superlega, l’affare inconcludente di Ronaldo, certi rimedi da ultimo giorno di scuola come il pasticcio di Suarez, il tentativo ondivago di seguire una moda, quella del gioco (cos’è il gioco?), passando da Allegri a Sarri, con dentro un pizzico di Pirlo per tornare ad Allegri.
Per finire al mercato, costruito senza avere in testa l’unica idea che conta nel calcio dei più grandi: acquistare campioni e non figure intermedie, detto senza infamia e poca lode. La Juventus di oggi, priva di vittorie come non le capitava da un pezzo, è il risultato di una gestione a cui va messo un punto grande come una casa. Da quel punto la Juventus deve ripartire con idee migliori e preferibilmente legate ai giovani. Ha senso acquistare un giocatore come Zakaria, discreto mediano con uno sforzo di bontà, relegando ai Miretti di turno scampoli di fine stagione? Non sarebbe più giusto formare una rosa di ragazzi promettenti accanto a veri campioni? Il nodo tecnico resta a centrocampo dove è necessaria una radicale svolta che accompagni a Locatelli giocatori di statura internazionale. Per poi spostarsi in attacco, dove si propone una sfida difficilissima: sostituire Dybala. L’argentino ha colpi da fenomeno, se recupera appieno fisicamente, è in grado di vincere una partita in solitudine.
L’esplosione definitiva di Vlahovic dipende anche, per non dire parecchio, dall’uomo che gli viene messo accanto. Il resto è ordinaria amministrazione che Allegri saprà gestire al meglio, stemperando possibilmente tutta la rabbia di cui lui stesso ha parlato. Perché non sta scritto da nessuna parte, se non in uno sgualcito vocabolario delle frasi antipatiche, che vincere sia l’unica cosa che conta. Si può anche perdere, e da una sconfitta rinascere. Con tanta attenzione per le cose fatte bene, un pizzico di umiltà e altruismo. Che ad amare troppo se stessi si finisce per impazzire.