La consacrazione di Luka Doncic
Lo sloveno ha trascinato i Dallas Mavericks alle finali di conference dell'Nba contro i Golden State Warriors. Ancora una volta, non è stato l’anno di Chris Paul
L’eliminazione dei Phoenix Suns per mano dei Dallas Mavericks è stata finora la caduta più rumorosa in questi playoff dell'Nba, al pari dello sweep rifilato dai Celtics ai Nets nel primo turno. I vice-campioni, dopo aver dominato in modo incontrastato la Regular season, sono infatti capitolati contro un team che sulla carta sembrava meno attrezzato e sicuramente meno esperto, guidato da un 23enne, Luka Doncic, che fino a due settimane fa non aveva mai vinto una serie ai playoff.
Le speranze di titolo della franchigia dell’Arizona sono evaporate con quattro sconfitte nelle ultime cinque partite della serie, con cui è stato dilapidato il vantaggio iniziale di 2-0 e vanificato il fattore-campo guadagnato con fatica (e 64 vittorie) in stagione regolare. Alla fine, i Suns si sono arresi proprio tra le mura di casa, incassando una sconfitta netta: 123-90, con i Mavs avanti di 30/40 punti per tutto il secondo tempo, e il pubblico che ha abbandonato gli spalti con un intero periodo ancora da giocare.
Le ragioni del tracollo di Phoenix, come sempre in questi casi, sono molteplici; e in primis, è importante sottolineare gli enormi meriti degli avversari. Sarebbe una forzatura ridurre il discorso alle deludenti prestazioni con cui i leader della squadra - Chris Paul, Devin Booker, Deandre Ayton - hanno concluso la loro stagione. Inevitabilmente, però, il processo post-eliminazione ha investito prima di tutti loro tre: onori e oneri dell’essere max player (chi lo è già, chi lo sarà).
Per Booker ed Ayton - reduci dalla consacrazione nel debutto ai massimi livelli, dodici mesi fa - ci sono comunque i presupposti per guardare a questa post-season come una battuta d’arresto e un’occasione di crescita; un discorso che, invece, si applica più difficilmente al 37enne Chris Paul, ancora a caccia del suo primo titolo in carriera.
Con questa eliminazione, maturata nella sua quarta sconfitta consecutiva in una Gara 7 (non un buon segnale per un giocatore che fa della leadership e della gestione dei momenti importanti le proprie migliori qualità), CP3 è diventato il primo nella storia dell’Nba a sprecare per cinque volte in carriera un vantaggio di 2-0 in una serie. Era già successo l’anno scorso, per mano dei Bucks, e la storia si è ripetuta quest’anno. Nelle prime due vittorie in Arizona, Chris Paul aveva giocato, semplicemente, da Chris Paul. 47 punti in due gare, con le redini della squadra ben salde tra le mani. Poi, si è vista ripetutamente la versione più opaca dei suoi playoff. Niente “Point God” nella seconda parte della serie: 18 tiri segnati in cinque partite e altrettante palle perse, imbrigliato nel game-plan difensivo dei Mavs contro di lui, il suo tiro dalla media e le sue abilità nel pick&roll.
Neanche il tempo di uscire dal campo, ed ecco i soliti dubbi sulle sue condizioni fisiche, dopo due turni di playoff che si sono dimostrati più impegnativi del previsto per Phoenix. E la solita conferenza stampa di fine stagione: “Ogni volta che perdo, dicono che era la mia ultima occasione. Ma l’anno prossimo saremo ancora qui, e io non mi sto per ritirare”. Al tramonto della sua 17esima stagione nella Lega, però, il tanto agognato lieto fine è sempre più difficile da immaginare.
Chi di sicuro in questi playoff non è alla sua ultima occasione, invece, è Luka Doncic. Al centro di una squadra costruita - perfettamente - intorno alle sue qualità, il 23enne sloveno contro i Suns si è definitivamente affermato come uno dei migliori giocatori dell’Nba. Un talento generazionale.
Supportato dall’ottima regia di coach Kidd e dal costante contributo del supporting cast, Doncic è stato un rebus senza soluzione per la difesa di Monty Williams. Nell’attacco dei Mavs, in cui spaziature e doti balistiche non mancano, il talento di Doncic ha travolto qualsiasi difensore si sia trovato davanti in uno-contro-uno, segnando praticamente in ogni modo; e quando ha dovuto gestire raddoppi e blitz difensivi, o quando la difesa collassava su di lui in area, è stato capace di mettere in ritmo i compagni, permettendo a tiratori come Finney-Smith, Bullock e Kleber di mandare a bersaglio una tripla dopo l’altra. Aggiungendo una difesa che si è adattata alla perfezione ai Jazz prima e ai Suns poi, ecco che oggi i Mavericks sono, meritatamente, tra le quattro squadre ancora in corsa. Trascinati da una “Luka Magic” più “Magic” che mai.
Sostenere che Dallas sia un sistema eliocentrico non ridimensiona né sminuisce i meriti di tutta la squadra e dello staff, così come di chi ha plasmato questo roster nelle ultime due finestre di mercato. Sono i numeri a dire che Doncic orchestra l’attacco dei Mavs come nessun’altra stella della Lega: il suo 39.3 per cento di “Usage” - una metrica che stima quanto un giocatore “accentri” l’attacco della squadra - non ha eguali in questi playoff, ed è un dato a cui si avvicinano soltanto Antetokounmpo (complice l’assenza di Middleton) e Jokic. A proposito di eliocentrismo.
“Ama questo palcoscenico. Più si fa importante, meglio gioca”, ha detto coach Kidd della sua superstar nel post-Game 7. Come dargli torto? Gli oltre 32 punti a partita in post-season fanno dello sloveno il secondo giocatore con la media più alta nella storia dei playoff, dietro solo - e non di molto - a Michael Jordan; e quando la squadra è impegnata in partite da “win or go home”, quel dato sale a 39.0 e stacca - con ampio margine - tutti quanti: LeBron James, Michael Jordan, Wilt Chamberlain e Kevin Durant in primis. A proposito di talenti generazionali.
Ora, dopo aver fatto a pezzi la terza miglior difesa dell’Nba in questa stagione (Phoenix), Luka è pronto a ripetersi contro la seconda (Golden State). In caso di successo, la prima (Boston), oppure la quarta (Miami), lo aspetterebbe nelle Nba finals. Chissà che non dovremo riformulare un vecchio detto di questo gioco: “L'attacco vende i biglietti, la difesa vince le partite… e Luka Doncic batte le difese”.