Antonio Conte ha risolto i problemi del Tottenham
L'allenatore italiano ha riportato i londinesi al quarto posto e a un passo dalla qualificazione in Champions League
"Sono Antonio Conte, risolvo problemi". Chissà se l’allenatore leccese si è presentato così, alla Winston Wolf di Pulp Fiction, quando ha parcheggiato dalle parti di Hotspur Way con la missione di risollevare il Tottenham dalle secche.
Al suo arrivo, il club londinese non se la passava granché bene. Il 2 novembre 2021, giorno della firma, i galletti stazionavano in nona posizione dopo aver perso 3-0 contro il Manchester United, 3-1 il derby con l’Arsenal e 3-0 quello con il Chelsea. Cacciato l’allenatore portoghese Nuno Espirito Santo (rimpiazzo estivo assunto senza troppa convinzione da Fabio Paratici dopo aver corteggiato prima lo stesso Conte, poi Fonseca e infine Gattuso), il direttore sportivo italiano decide di andare su un profilo diverso, quello del problem-solver, dell’uomo forte al comando.
E dire che la scorsa stagione era culminata con l’esonero dell’uomo forte per eccellenza, José Mourinho: il vate di Setùbal, oggi acclamato a Roma come un messia di calcio, era stato cacciato con ignominia alla vigilia della finale della coppa di lega (Carabao Cup, il trofeo minore inglese) dopo una stagione di moltissimi bassi e pochi alti. Il presidente Daniel Levy, anche in quella circostanza, aveva affidato la squadra al portoghese per ridare entusiasmo a una piazza depressa. Colpa della gestione fallimentare della fine di un ciclo sportivo che aveva portato gli Spurs a giocare – e perdere – la prima finale di Champions League della loro storia. Al timone della squadra capace di rimontare il City di Pep Guardiola ai quarti di finale e l’Ajax di Ten Hag e Matthijs De Ligt in semifinale c’era Mauricio Pochettino, oggi non troppo apprezzato al Paris Saint Germain. In mezzo al campo, molti dei protagonisti di oggi, dal funambolo coreano Heung-Min Son al leader della nazionale inglese Harry Kane, ma anche calciatori allora all’apice della loro carriera come Christian Eriksen. Dopo la finale persa con il Liverpool, però, un lungo periodo di appannamento, culminato con gli esoneri in serie di Pochettino, Mourinho ed Espirito Santo.
Dal suo arrivo, Antonio Conte ha puntato tutto sul campionato. Un marchio di fabbrica, a giudicare dalle disavventure del leccese nelle coppe nazionali e continentali, da allenatore (ha alzato al cielo “solo” una FA Cup con il Chelsea e due supercoppe italiane con la Juventus). Estromesso dalla Conference League per colpa del Covid-19, uscito in semifinale di coppa di lega contro il Chelsea, persa la FA Cup contro un sorprendente Middlesbrough (carnefice anche del Manchester United), la cavalcata in Premier League è stata un successo. O, quantomeno, in linea con le aspettative del club londinese. Dal nono posto di novembre, Conte ha issato il Tottenham in quarta posizione fermando due volte il Liverpool sul pari, battendo il Manchester City in una partita pazza e strapazzando l’Arsenal 3-0 nel derby di ritorno, ribaltando in questo modo il confronto degli scontri diretti. In mezzo, un supporto entusiastico da parte dei social media del club, dei tifosi, della società e la gestione di un gruppo squadra tra i più colpiti dalla quarta ondata di Covid-19.
Il successo di questa esperienza deriva dalla congiunzione di diversi elementi. In primo luogo, il gioco al “ciapa-no” delle big inglesi al terzo e quarto posto, con Chelsea e Tottenham oggi in Champions più per demerito di Arsenal e Manchester United che per meriti propri. In secondo luogo, la volontà di un allenatore bizzoso e abituato a vincere solo con i suoi uomini di sfruttare il capitale umano del suo club. A questi si aggiungono l’attaccamento alla maglia di giocatori già con la valigia in mano come Kane (vicinissimo al City, in estate) e Son, la coppia gol-assist più prolifica della storia della Premier League, l’esplosione di giocatori già in rosa (come il terzino sinistro Ben Davies e il regista Pierre-Emile Höjbjerg) e una campagna acquisti di gennaio intelligente e fortunata. Paratici, infatti, è andato a pescare nel suo ex club, la Juventus, portando a Londra Rodrigo Bentancur e Dejan Kulusevski. Bistrattati dalla Vecchia Signora, idolatrati al Tottenham Hotspur stadium. Lo svedese, in particolare, ha collezionato 3 gol e 8 assist in 13 presenze, inserendosi nei meccanismi di Conte in modo eccellente e soffiando il posto di titolare a un veterano del club come Lucas Moura.
Se gli Spurs dovessero qualificarsi in Champions League, la stagione di Antonio Conte assumerebbe i contorni di un trionfo. Diversamente, i piani del club per il futuro non cambierebbero. L’obiettivo concordato con l’allenatore è allestire una squadra vincente per puntare ai traguardi più importanti. Primo tra tutti, riportare un trofeo che dalle parti di Hotspur Way manca dal 2008. A Levy e Paratici il compito di riuscirci in tempi brevi: i precedenti insegnano che il leccese è sì un vincente, ma che la pazienza non è il suo forte.