Foto tratta dal profilo Facebook del Modena F.C.

il foglio sportivo

Il Modena di Rivetti: pallone, famiglia e fantasia

Umberto Zapelloni

Dalla moda alla presidenza del club emiliano neopromosso in B: “Sogno un calcio sostenibile e una squadra tutta italiana” 

La moda è stato il suo passato ed è il suo presente, il calcio sarà il suo futuro. Ma Carlo Rivetti, da un anno presidente e proprietario del Modena appena promosso in Serie B e vincitore della Supercoppa di Serie C, oltre che presidente e direttore creativo di Stone Island, marchio della moda recentemente entrato nella galassia Moncler, è un presidente atipico. Lui il pallone lo ha sempre amato. Fin da bambino, quando con la zia Lidia andava al Comunale a vedere il Torino di cui il nonno, il conte Enrico Marone Cinzano, era stato presidente. E non un presidente qualunque visto che fu lui a far costruire il Filadelfia. Il pallone è sempre stata un’attrazione per il giovane Rivetti. Non si accontentava di guardare. Giocava. Centravanti, almeno all’inizio, poi sempre più indietro. Senza mai finire in porta. Anche se con le mani ci sapeva fare. Tanta era l’attrazione per il pallone che da ragazzo con tre amici aveva trasformato la piscina naturale di uno dei bagni più famosi di Santa Margherita Ligure in un campo da pallanuoto. Interminabili sfide due contro due. Con esultanze alla Paolino Pulici quando segnava. Ai tempi era ancora tifoso del Grande Torino. Pulici era il suo idolo: “Era il simbolo di un Toro meraviglioso. Una forza della natura, sanguigno come il Toro. Ci ho anche giocato contro con la Nazionale stilisti, quando gli è arrivato il pallone e ho visto che lo stava stoppando con il petto mi sono spostato per vedere da vicino una delle sue rovesciate…”. Poi venne la stagione nerazzurra. Tu te lo ricordi sfegatato tifoso granata e te lo ritrovi a San Siro con la sciarpa dell’Inter. “Dopo aver sposato una juventina convocai i figli e dissi loro che potevano scegliere di fare il tifo per 17 delle 18 squadre della Serie A di allora, ma non per quella che neppure nominavo. Tutte tranne quella della mamma, pena essere immediatamente diseredati. Silvio e Camilla scelsero il Milan. Era quello vinci tutto di Sacchi. Matteo scelse l’Inter e si ritrovò da solo. Non sapeva con chi andare allo stadio. Lo accompagnai. Era l’inizio dell’epoca Moratti. Abbiamo fatto l’abbonamento nel primo anno di Moratti. Piano piano ho cominciato a simpatizzare anch’io per l’Inter. Che sofferenza. Poi però è arrivato il triplete… un’emozione paragonabile a quella della promozione con il Modena”.
Dal 28 maggio dello scorso anno però la famiglia Rivetti si è riunita sotto un’unica bandiera, quella del Modena. In società come amministratore delegato c’è il figlio Matteo e come consiglieri anche gli altri due figli Silvio e Camilla. Vicepresidente è invece Ilaria, la moglie di Matteo, che vantava una lunga esperienza nel marketing dell’Olimpia Milano targata Armani. In tribuna ci sono sempre nipoti e cugini. “Con i miei nipoti ho un rito. Prima di ogni partita casalinga andiamo in un bar del centro a bere una birra, poi a piedi raggiungiamo lo stadio. Fino a febbraio nessuno ci guardava, poi la nostra passeggiata è diventata una sfilata tra i tifosi, abbiamo vissuto il risveglio della città attorno alla sua squadra”. Il giorno del compleanno del Modena, celebrato con un video pazzesco nel teatro della città, il presidente ha offerto da bere a tutto lo stadio. “Con il mio bicchiere di birra sono andato a centrocampo, ho fatto servire tutti e poi abbiamo brindato”. È lo stesso presidente che il giorno della vittoria promozione ha preso in mano il microfono, come il Gianni Rivera nel giorno della stella del Milan, per convincere i tifosi a non invadere il campo a fine partita. Un presidente presente ma non invadente: “Io non detto la formazione. La chiedo prima della partita, ma lascio decidere i miei collaboratori come faccio in azienda. Sono pagati per fare il loro mestiere, se ritenessi di essere più bravo di loro, li licenzierei e prenderei il loro posto. Ma siccome non sono più bravo, lascio fare a chi è protagonista di quel mestiere. Non entro mai nelle scelte tecniche. La campagna acquisti la fanno il direttore sportivo, Tesser e i miei figli. Poi mi dicono, ma solo perché mi piace poi andare a curiosare e vedere i filmati. Il bravo imprenditore è quello che sa scegliere le persone e le lascia lavorare. Se fai tutto da solo non arrivi da nessuna parte”. Quasi un agitatore di uomini e di idee come il modenese più famoso del mondo: Enzo Ferrari che tra l’altro era tesserato del Modena calcio. Il suo cartellino finirà nel museo che la società sta allestendo accanto all’abbonamento numero 00001 intestato a Luciano Pavarotti.

 

“In famiglia siamo tutti pazzi per il calcio, compresa mia figlia Camilla che è stata capitana della sua squadra e non si è persa una partita quest’anno. Noi siamo una famiglia molto unita, anche con i figli di mia sorella. Il Modena ci ha riuniti ancora di più perché adesso tifiamo tutti per la stessa squadra… ha avuto l’effetto della Nazionale”. 

 

Il calcio di cui è innamorato adesso non è più solo una passione. “Il sogno adesso è costruire una realtà duratura lavorare per restare in B e intervenire sulle strutture. Sullo stadio, sul centro sportivo che non abbiamo proprio. Dopo il fallimento era stata sospesa la manutenzione straordinaria e ordinaria del Braglia. Lo stadio è bellissimo, all’inglese, molto raccolto. Ma i bagni sono fatiscenti, gli spogliatoi inesistenti, il tunnel d’accesso inguardabile, gli ingressi per i disabili assenti, ed è scandaloso nel 2022, tanto che sto pensando di adeguarlo a spese nostre se il Comune non ci penserà. Intanto faremo un lifting in attesa di firmare una concessione anche se la burocrazia in Italia è un vero ostacolo”. Il Braglia è lo stadio dove il mondo scoprì un certo Fausto Coppi quando il 9 giugno del 1940 vinse la Firenze-Modena, prima tappa e prima maglia rosa della sua vita. C’è anche una targa che lo ricorda. “Ho già detto che quando smetterà di giocare metteremo una targa dedicata al gol del nostro portiere Gagno che ci ha permesso di battere l’Imolese riportandoci in testa alla classifica a una giornata dalla fine del campionato”. Una storia da film americano. Un portiere che segna da 90 metri il gol decisivo. 

 

Ma lo stadio è solo un passaggio. “Il centro sportivo ci aiuterebbe a radicarci sul territorio, ci aiuterebbe a costruire fin dalle giovanili, io vorrei una squadra tutta italiana con ragazzi cresciuti da noi. Così il calcio sarebbe sostenibile. Certo se poi arrivasse un’occasione con uno straniero, ma uno che ci aiutasse anche nello spogliatoio a costruire, allora sarebbe diverso. Lo zoccolo duro deve essere italiano, io vivo ancora nel ricordo delle bandiere. È un obbiettivo di lungo periodo, ma ci lavoreremo. Abbiamo l’esempio luminoso del Sassuolo. Sabato scorso siamo stati a Bolzano per la finale di Supercoppa e ci hanno accolti benissimo, ci hanno fatto visitare i loro impianti, tutti ecosostenibili, ci hanno confermato che il calcio può anche essere vissuto senza tensioni e con educazione in tribuna. Ricordo che quando ero presidente della squadra di hockey ghiaccio di Aosta a Bolzano mi fecero un gavettone non vi dico di cosa. Domenica ci hanno applauditi anche mentre ci premiavano. Questo è il calcio che piace a me. Quello che trasmette valori. Ci metteremo un po’, ma l’obbiettivo è questo. Ora abbiamo un piano triennale con cui cominciare a costruire per poi tentare un ulteriore salto”. Una cosa ci assicura il creativo che c’è in lui. Non vedremo maglie strane per il Modena. “Sono un tradizionalista. Vedi in giro maglie inguardabili. Al massimo un giorno potrei proporne una modello Boca visto che i colori sono gli stessi”. Andrebbe a ruba.

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