il foglio sportivo
Lo sport è uno spettacolo da libro
Tutto iniziò con Norman Mailer e ormai non c’è editore che non lo tratti
Intellettuali duri e puri, esegeti della letteratura alta, ultras della superiorità della mente sul corpo, fatevene una ragione: le librerie sono invase da libri di sport. Arrendetevi e nessuno vi farà del male. Tutto iniziò con Norman Mailer che nel 1975 scrisse The fight, il racconto capolavoro del combattimento fra Muhammad Ali e George Foreman a Kinshasa. Vera letteratura non-fiction, insomma. Dopo quel libro nulla fu più come prima, anche se mancavano trentaquattro anni all’uscita di Open, autobiografia di Andre Agassi, pubblicata poi in Italia nel 2011 da Einaudi e scritta con J.R. Moehringer, giornalista e scrittore newyorkese vincitore del Premio Pulitzer. Tutti considerano Open come il big bang della narrazione sportiva in Italia e in effetti un libro così tagliente, scritto così bene e pubblicato da una casa editrice di prestigio ha cambiato un paradigma. Ma a voler riflettere su sport e cultura, intorno alla metà degli anni novanta è già in scena un padre dello storytelling sportivo: David Foster Wallace. Grande intellettuale (e tennista praticante) fa diventare il tennis un potente strumento di scrittura e weltanschauung. Nelle oltre mille pagine di Infinte Jest, venti sono dedicate a un monologo, una vera e propria iniziazione al tennis di un padre nei confronti del figlio (come non pensare ad Agassi?) dove l’essenza del gioco viene spiegata attraverso il modo di recitare di Marlon Brando. Saranno autori come David Foster Wallace o Haruki Murakami, ossessionato dalla corsa e dalla scrittura, a trascinare lo sport fuori dall’angolo in cui una certa élite intellettuale l’aveva messo.
Moris Gasparri, studioso di storia e cultura dello sport, ha le idee chiare: “A tutte le latitudini lo sport è importante, fatta eccezione per alcuni ‘buchi neri’ della geopolitica. Ogni nazione ha i propri grandi momenti di epica sportiva, i suoi miti, le sue vittorie da ricordare, ma lo sport come fattore di identità culturale è radicalmente diverso per le civiltà ‘giovani’ del mondo da quelle "anziane" e questo aspetto si riflette anche nella produzione letteraria. Noi europei, come gli asiatici, siamo ‘sepolti’ dal peso della Storia; ma nordamericani, sudamericani, australiani o neozelandesi, no. Non è un caso che proprio loro siano furiosamente affamati di racconto sportivo, per dotarsi di mitologie primarie, senso di comunità, identità e che grandi capolavori della letteratura americana contemporanea come Pastorale americana di Roth e Underworld di De Lillo risuonano di sport”. E qui da noi? Federico Vergari è il responsabile del programma sportivo del Salone del Libro di Torino che si svolge nella “Sala Olimpica” inaugurata nell’edizione dell’ottobre 2021. “Pochi mesi e abbiamo rilanciato: 25 editori coinvolti, 40 eventi aperti al pubblico e 6 per le scuole, tutti esauriti prima che il Salone iniziasse. Se la letteratura è una griglia per decodificare il mondo, quella sportiva ancor di più: ti insegna che per riuscire occorre lavorare molto e che, dopo una sconfitta, c’è una seconda opportunità. L’argine di pregiudizio in Italia ha resistito anche troppo, ora è definitivamente saltato. Non c’è più casa editrice che non introduca titoli legati allo sport nelle sue collane”.
E se l’argine è saltato a mettere le cariche di dinamite, al punto nel momento giusto, è stata una donna. Nel 2008, dopo anni passati negli USA a occuparsi di banche, Isabella Ferretti fonda una casa editrice e la battezza con il nome di un incrocio newyorkese. Nasce così 66thand2nd, che investe tutto il suo primo anno in ricerca. “Il nostro primo libro, Shoeless Joe di William Patrick Kinsella, uscì solo un anno dopo. Scegliemmo quel libro perché cercavamo pagine belle da pubblicare. Coraggio e follia, era baseball, ma abbiamo aperto una strada” dice Isabella Ferretti “non seguendo una moda, ma una vocazione. Lo sport era considerato ‘anti-letteratura’, ma noi cercavamo storie di sport nobilitate dalla miglior scrittura possibile. Come accade a Open dove un premio Pulitzer esce dalla dimensione di ghost writer, diventa visibile e riesce a far amare Agassi e il tennis anche a chi non conosce nessuno dei due”. Isabella Ferretti parla di passato “abbiamo dovuto tradurre molto, prima di poter produrre”, ma soprattutto di futuro “vedo due sfide all’orizzonte: fare gli stessi investimenti culturali che facciamo sulle materie Stem (science, technology, engineering e mathematics, ndr) anche sullo sport femminile e resistere ai grandi gruppi editoriali che incominciano a occuparsi massicciamente di sport. Dovremo difendere la qualità senza disporre di budget comparabili”. Nel frattempo 66thand2nd lancia Storie e sport a... Non guide, ma racconti di metropoli attraverso il loro tessuto sportivo. Si comincia da Roma e dallo Stadio dei Marmi, a firma di Francesco Longo. In arrivo Milano, Napoli e Torino.
Giorgio Gianotto e Stefano Delprete, direttore editoriale ed editor di Add aggiungono: “Le letterature sono in una fase stanca. Il grande romanzo americano, per esempio, in questo momento è debole” dice Gianotto. “Ogni generazione ha bisogno di stimoli diversi e lo sport ha una freschezza emotiva unica. I fatti sportivi riguardano il mondo intero, creano opinione. Pensate alla vicenda degli atleti russi o alle analisi sulla cultura dei bianchi e dei neri di un grande sportivo-saggista come Lilian Thuram. Stefano Delprete aggiunge: “Lo sport come epica moderna? È banale, ma non ci allontana dalla verità. La non-fiction sportiva è capace di cristallizzare un istante, fissarlo nel tempo”. “La non-fiction va bene in generale” continua Gianotto “perché ci fa imparare qualcosa. Tuttavia un trattato di geopolitica difficilmente lo leggiamo, ma se lo stesso tema viene raccontato attraverso lo sport diventa una specie di “via breve” per fare cultura in modo trasversale. Il mondo ha bisogno di ascoltare storie”. Ed ecco spiegato il caparbio lavoro di Add con le scuole, spesso usando titoli di sport.
Luca Ussìa, direttore editoriale di Baldini+Castoldi, sostiene che “nella storia editoriale italiana sono stati limitati i tentativi di produrre letteratura sportiva: Azzurro Tenebra di Giovanni Arpino e poco altro, forse per pregiudizio ideologico, ma negli anni novanta decidemmo di pubblicare l’opera omnia di Gianni Brera. Il suo linguaggio, unito al fascino planetario del calcio, era il modo per arrivare a un pubblico enorme, dimostrando che sport e cultura possono convivere. Oggi il 25-30 per cento della nostra produzione editoriale è dedicata allo sport. Recentemente abbiamo pubblicato la biografia di Andrij Shevchenko, in prima linea per la pace in Ucraina, e abbiamo dimostrato che un libro di sport può assumere valore politico. E siamo molto orgogliosi del libro scritto da Arrigo Sacchi e Luigi Garlando, finalista al premio letterario inglese Sportsbook Award del Sunday Times. Gli inglesi di solito sono autoctoni, questa volta noi italiani siamo stati capaci di rompere una barriera”.
Intellettuali duri e puri, non avrete scampo. Lo sport produce storie senza fine. Pensate: potreste leggere quella di un ciclista africano che, per la prima volta, in 105 edizioni, vince una tappa al Giro d’Italia, ma alla sera deve ritirarsi, perché il tappo della bottiglia di champagne con cui ha festeggiato sul podio, lo ha ferito a un occhio. Pensate all’editor che di fronte a una pagina così avrebbe telefonato all’autore dicendo: “Dai, non esageriamo”. E sorridete.