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A Cogne Giulio Ciccone ha perdonato se stesso

Giovanni Battistuzzi

Lo scalatore abruzzese vince la quindicesima tappa del Giro d'Italia dopo una fuga di una settantina di chilometri, venti di questi da solo. Dopo le botte di ieri gli uomini di classifica hanno deciso di non insistere. E, al solito, Guillaume Martin se ne è avvantaggiato

Giulio Ciccone s’era messo in testa al gruppo a osservare cosa stesse succedendo dai primi chilometri della quindicesima tappa del Giro d’Italia 2022. Vedeva quell’andirivieni di tentativi di fuga per cercare di capire quale fosse il manipolo d’uomini giusti, quello buono da inseguire. Aveva nient’altro in testa. Voleva essere tra loro, tra i primi. La fuga sarebbe partita e, con ogni probabilità, sarebbe arrivata all’arrivo. Lo sospettavano i più. Lui ne era certo.

Per un’ottantina abbondante di chilometri in testa al gruppo si sono alternati almeno una ventina di corridori. Ognuno aveva una buona ragione per lasciarsi alle spalle il gruppo. Chi cerca l’avanguardia della corsa ha sempre qualcosa da cercare di conquistare o qualcosa da farsi perdonare.

Giulio Ciccone aveva qualcosa da farsi perdonare. Doveva perdonare se stesso, redimere quella colpa che si sentiva addosso. Lui c’avrebbe mica voluto essere là a provare l’evasione. Pensava alla maglia rosa o quanto meno a un gradino del podio, al peggio di stare tra i primi, avere la convinzione e la soddisfazione che le prime posizioni sarebbero potute essere alla sua portata. Poi era arrivato il Blockhaus, il suo Abruzzo. S’era ritrovato a essere coda del gruppo, aveva perso terreno e un sacco di minuti. C’era rimasto male, una botta del genere non se la sarebbe aspettata.

Risalendo la Val d’Aosta, Giulio Ciccone ha provato più volte a far evadere il gruppo giusto, non ce l’ha fatta. Ha rincorso quello che se ne era andato via per conto proprio. Salendo verso Pila è rimasto tranquillo, ha lasciato a Koen Bowman, Martijn Tusveld e Mathieu van der Poel cercare l’improbabile. Verso Verrogne ha aumentato la velocità ascensionale e ridotto le speranze di chi continuava a sperare in una vittoria. Nell’ultima salita, quella che portava a Cogne, ha deciso che la solitudine era la dimensione adeguata, quella preferibile, l’unica che poteva davvero redimere le colpe che sentiva addosso. Gli erano rimasti addosso Santiago Bruitrago e Hugh Carthy. Poi solo l’inglese, che saliva a suo modo, legnoso e ansimante, così diverso dalla sua levità d’animo di chi accetta ciò che la bici gli riserva ed è comunque contento, perché non si può essere infelici mentre si pedala. Carthy faceva una pedalata ogni due di Ciccone. Spingeva il solito rapporto che fa venire il mal di gambe anche da distesi sul divano. A un certo punto pure le sue, di gambe, si sono ribellate.

 

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Forse non ne aveva, forse è stata solo sfortuna. Il Covid, la bronchite, la preparazione interrotta, ripresa, ridisegnata. A volte la sfortuna va a braccetto con il nervosismo e in questi anni Giulio Ciccone al nervosismo si è abbandonato spesso e volentieri. La tranquillità la trova nella solitudine l’abruzzese, la solitudine più affascinante, quella di chi percepisce la novità negli occhi di un pubblico ancora non abituato a vedere il passaggio dei corridori.

Giulio Ciccone ha condiviso la gioia di quella solitudine per centinaia di metri prima dello striscione d’arrivo. Ha lasciato il manubrio a se stesso, ha lasciato le mani e le braccia libere per chiedere ai tifosi più urla, più applausi, più enfasi. L’ha ottenuta. E ottenendola, s’è redento, almeno parzialmente. Poi ha pianto. Perché funziona così quando una vittoria conta ben più di una vittoria, quando ci si porta addosso rabbia e volontà di rivalsa.

Intanto la vittoria è arrivata, un senso il suo Giro ha iniziato ad assumerlo. L’occasione è stata sfruttata.

Quella che ha sfruttato pure Guillaume Martin. Il francese s’è ripreso un minuto e quaranta secondi di quelli di quelli che aveva perso a Torino. Martin sa benissimo di non avere il passo dei migliori in salita, sa che deve inventarsi sempre qualcosa di bizzarro, che ha l’obbligo di trovare una soluzione diversa a quella degli altri.

Oggi si è fatto un giretto di una quarantina abbondante di chilometri avanti al gruppo per mettersi in saccoccia quel po' di tempo che potrebbe essergli utile in futuro. Martin fa sempre così, si inventa intermezzi alternativi per creare la possibilità del miglior finale possibile. Migliore almeno per lui. Il gruppo ha lasciato fare. Dopo le bastonate di ieri oggi hanno pensato che non fosse il caso di insistere.

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