A Treviso la fuga consuma “le energie feroci” dei velocisti
Dries de Bondt vince davanti a Edoardo Affini la diciottesima tappa del Giro d'Italia. Non sempre succede che le fughe destinate a essere riprese vengano riprese davvero.
A Treviso doveva finire in volata tra tanti, tra tutti i velocisti che, ostinati, avevano superato le montagne, parecchie, pur di lanciarsi ancora a oltre sessanta chilometri orari verso la linea d’arrivo. Doveva essere l'ultima occasione, il saluto dello sprint al Giro.
È andata diversamente dai piani. Va spesso così quando le ultime tappe del Giro d’Italia finiscono nella pianura tra la Brenta e la Piave. A Santa Maria di Sala nel 2019 Damiano Cima, Mirco Maestri e Nico Denz avevano resistito alla rimonta del gruppo sino agli ultimi chilometri, il primo c’era riuscito anche oltre la linea d’arrivo. Vittoria.
È ricapitato oggi. Quattro erano partiti in fuga al pronti via: Edoardo Affini, Magnus Cort, Dries de Bondt e Davide Gabburo, per ordine alfabetico. L’ordine d’arrivo non ha seguito quello alfabetico: primo Dries De Bondt, secondo Edoardo Affini, poi Magnus Cort e Davide Gabburo. I velocisti, quelli che si erano ostinati a scalare le montagne dietro. I loro gregari avevano fatto male i conti: quattordici secondi in difetto. A Cuneo avevano rischiato, a Treviso sono andati corti per davvero. I chilometri percorsi sono tanti, il lavoro fatto parecchio, le energie sempre meno, soprattutto “le energie feroci”, a dirla con Rik van Looy, che qualcosa in volata ha vinto tra il 1953 e il 1970. È una bella espressione “le energie feroci”. Fa capire bene come, a un certo punto di una corsa a tappe di tre settimane, ci sono energie ed energie. E quelle che servono per sgretolare le velleità degli avanguardisti, fanno parte di questa categoria, che, evidentemente, si esaurisce prima dell’altra.
I gregari si sono messi davanti, hanno tirato, sono andati veloci. La strada era una serie di lunghi rettilinei. Terreno ideale per il recupero. Il problema è che il cronometro scendeva meno di quello che doveva scendere. Non avevano fatto caso, forse, a chi stava davanti. Ossia quattro corridori che a far i cinquanta all’ora viene naturale. Gente che di solito, almeno Affini e de Bondt, le fughe le va a prendere e sa come funzionano queste cose. E gente che un tempo le volate le finalizzavano, almeno Cort e Gabburo, anche se a loro modo e a certe condizioni, e che poi hanno preferito l’avventura della fuga. Serve sempre trovarsi un’alternativa.
Nessuna alternativa invece è rimasta a Joao Almeida. Il Covid gli ha indicato la via di casa. Positivo. Non è partito. Una volta, prima della pandemia, scrivere “positivo” spaventava, era un dito puntato addosso. Ora è una seccatura che toglie di mezzo, almeno in questo caso, il quarto in classifica, l’ombra coriacea dietro quei tre, i soliti tre di questo Giro: Carapaz, Hindley, Landa. Che è ordine alfabetico e ordine di classifica.