il foglio sportivo
Capocannonieri senza gloria
Da 13 anni in Italia chi segna più gol non gioca nella squadra che vince lo scudetto. Forse anche per questo che il premio ha perso fascino
Hanno nascosto il capocannoniere da qualche parte e adesso nessuno sa più dove. Non c’è un assassinio del centravanti verso sera, non è roba per Manuel Vázquez Montalbán e per il suo Pepe Carvalho. È però un caso di occultamento di uomo vivo, parecchio vegeto e molto segnante, lasciato lì, in un angolo delle pagine delle classifiche. Quelle in cui i giornali ammassano tutti i dati del campionato e non si celebra niente, perché i numeri, in quella zona della discussione, sono freddi, non hanno un pezzo a corredo, una storia da raccontare, un titolo.
Non c’è un colpevole, né una piano di cancellazione del bomber più bomber dell’anno. È solo un’evoluzione dei tempi, figlia del calcio esasperatamente collettivo e dello “spazio come centravanti” che molti allenatori tentano di copiare da Guardiola, e di quella voglia di falso nueve che ha quasi messo da parte i veri nove.
Domanda a bruciapelo a chi è arrivato fin qui: chi sono gli ultimi quattro capocannonieri della Serie A? Lo vedo, che avete usato Google. Eccoli, in ordine di stagione: Quagliarella, Immobile, Ronaldo, Immobile. Non banali, Immobile ha appena ottenuto il record di essere l’unico italiano con quattro vittorie in questa classifica.
Però il punto è che non sembra più un traguardo con appeal: di Quagliarella ci ricordiamo la sorpresa crescente nel vederlo segnare così tanto a trentasei anni, di Ronaldo sembrava persino scontato e quasi non ce ne siamo accorti e su Immobile continuiamo a chiederci perché in Nazionale no. Ma quando finisce la stagione nessuno incorona il re dei bomber: nell’era del calcio ultrastatistico il dato principale (in qualsiasi epoca le partite sono decise dai gol) è un dettaglio da tenere a margine del racconto. E, non so quanto la decrescita di attenzione sia consequenziale, stiamo prendendo atto che il capocannoniere, che secondo Pasolini era “il miglior poeta dell’anno”, non fa vincere i campionati: questo è, infatti, il tredicesimo anno consecutivo in cui il giocatore che segna più di tutti non è della squadra che porta a casa lo scudetto.
Non è riuscita la doppietta nemmeno a Ronaldo, che ha fatto più gol di chiunque nella storia del calcio. Anzi, l’anno in cui è stato il re dei cannonieri della Serie A la Juventus ha interrotto la striscia di nove scudetti di fila.
L’ultimo ad aver accoppiato i due trofei è stato Ibrahimovic, allora con l’Inter, nel 2009.
Brutalmente si potrebbe arrivare a una conclusione: non ci appassioniamo più al capocannoniere perché se un giocatore segna tanto e la sua squadra non è in testa non è una storia da raccontare, perché parliamo solo dei vincenti.
E invece nel 1996 abbiamo vissuto la straordinaria vicenda di Igor Protti, che segnava più di chiunque altro mentre il suo Bari era in zona retrocessione e poi retrocesse, ma la città sembrava felice e l’immagine dell’attaccante salutava chi entrava o usciva dalla città, con cartelli stradali celebrativi. E sulla classifica cannonieri si è costruita parte dell’epica di Dario Hubner, che proprio con Protti è l’unico ad aver ottenuto lo stesso primato in Serie A, B e C. E c’è stato Di Natale, altro giocatore che riponeva parte della sua gloria nello stare lassù, dove non arrivava a segnare nessuno (per due anni consecutivi).
Il punto è che in Italia la classifica dei marcatori non ha nemmeno una celebrazione. Esiste un premio, che consegna l’Assocalciatori, all’inizio della stagione successiva, quando già si parla di chi vincerà il prossimo scudetto. E anche quando ad agosto di un anno fa hanno deciso di intitolarlo a Paolo Rossi, è rimasto nascosto in una “breve” a fondo pagina anche perché il primo “premio Paolo Rossi” lo ha vinto Cristiano Ronaldo, ma non l’ha mai ritirato, visto che all’inizio dell’ultima stagione già non era più in Italia.
Nell’incredibile abitudine a passare dal niente al troppo, anche la Lega di B ha istituito il premio “Pablito” per chi segna di più (quest'anno Massimo Coda, del Lecce).
Un tentativo, blando e non proprio di efficace presa (sembra una notizia per pochi intimi), di replicare il successo spagnolo, dove nessuno dice “è il capocannoniere”, ma dicono “è il Pichichi”, che è il nome del premio per chi segna di più in campionato ed era il soprannome di Rafael Moreno Aranzadi, uno dei più grandi attaccanti della storia di Spagna. Pichichi, perché era alto appena 154 centimetri, degno di regalare il suo nome al premio perché di gol aveva disseminato la sua carriera nell'Athletic Bilbao nei primi anni del Novecento. Figlio di colui che diventerà anche il sindaco della città, barattò la possibilità di giocare a calcio con la promessa di proseguire gli studi, ma poi veniva bocciato a ogni esame universitario perché in realtà il suo era un trucco. Lui amava il calcio, anche per strada, dove se lo contendevano sin da bambino. E incantava per i dribbling, incantava con il pallone tra i piedi e segnava: in totale 83 volte in 89 partite. E suo è stato il primo gol realizzato al San Mames, lo stadio che tutt’ora ospita il Bilbao e che ha all’esterno un busto di Pichichi, dove ogni squadra che gioca per la prima volta in questo stadio – secondo tradizione – deposita un mazzo di fiori prima della partita, accompagnato dal capitano dell’Athletic. Vivo il ricordo di Pichichi (morto esattamente cento anni fa, a ventinove anni, per una forma fulminante di tifo), vivo un premio. L’ultimo lo ha vinto Karim Benzema, nel Real campione di Spagna e d’Europa. Perché sì, il calcio ad alcune latitudini è ancora semplice: hai un giocatore che segna tanto e vinci. E il capocannoniere rimane il miglior poeta, se gli si presta attenzione.