il foglio sportivo
Guerra e calcio, l'orgoglio ucraino
A Cardiff la Nazionale dell'Ucraina si gioca contro il Galles la qualificazione al Mondiale. A Kyiv si discute di come far giocare la Prem’er Liha e come cercare di trattenere i migliori talenti
Durante la conferenza stampa alla vigilia dell’incontro con la Scozia, Oleksandr Zinchenko non ha trattenuto le lacrime. Oleksandr Karavaev, originario dell’occupata Kherson, ha detto che “dovremmo essere noi a sostenere i nostri soldati, invece sono loro a scriverci ogni giorno e chiederci di portarci al Mondiale, perché ciò li renderà ancora più motivati”. Alla vigilia della finale contro il Galles, l’amore degli ucraini per la Nazionale è incondizionato, mentre per i club il futuro è a ora più complesso.
Lo scorso 27 maggio, c’è stata una riunione straordinaria della Prem’er Liha ucraina e si è discusso della ripresa del campionato nella prossima stagione. Si è deciso di sospendere per una stagione le squadre di Mariupol e Chernihiv, i cui stadi sono devastati dai missili russi. Lo Shakhtar di De Zerbi (per ora) e la Dinamo di Lucescu, insieme ad altri club impegnati nelle coppe europee, avrebbero chiesto di giocare in Turchia o Polonia. Uno dei motivi sarebbe quello di frenare la fuga dei giocatori stranieri, che difficilmente rimarrebbero col rischio di essere bombardati durante l’allenamento.
Il comunicato finale della lega è mutilato: riprendere il campionato, dopo aver deciso di concerto con il governo ucraino e gli organi militari. Ciò indicherebbe la volontà di riprendere le competizioni in patria, probabilmente a Kyiv o in itinere nell’Ucraina occidentale. A conferma di ciò, tre giorni dopo arriva un decreto ufficiale del ministero dello Sport riguardo le manifestazioni sportive all’aperto in tempi di guerra, da giocare in specifiche località e senza pubblico. L’intercessione decisiva sarebbe stata addirittura di Zelensky, che non avrebbe voluto fare un’eccezione per l’espatrio dei calciatori.
Pochi giorni prima, 25mila cittadini avevano firmato una petizione sul sito del governo chiedendo di abrogare il divieto di uscita degli uomini dal paese, alla quale il presidente aveva risposto che probabilmente non fosse indirizzata a lui ma “ai genitori dei soldati caduti al fronte in questi mesi”, garantendo comunque che la proposta sarebbe stata esaminata secondo i termini della legge ucraina. I malumori dell’opinione pubblica nascono dall’importanza delle rimesse dall’estero per l’economia; sono molte le famiglie in difficoltà da quando gli uomini non possono tornare al loro posto di lavoro in Polonia, Repubblica Ceca o altrove. I probabili trasferimenti del funambolo Mudryk al Bayer Leverkusen e dell’attaccante Dovbyk al Torino hanno generato alcune polemiche tra gli stessi tifosi. Perché i calciatori possono tranquillamente trasferirsi in Germania e Italia, mentre un operaio specializzato o un ingegnere informatico è costretto a rifiutare ogni offerta di lavoro dall’estero?, si chiedono. Al contempo chi può permetterselo sfrutta la corruzione in alcuni punti doganali per scappare, come sembra abbiano fatto i fratelli Surkis, proprietari della Dinamo Kyiv; il maggiore Grigorij – ex vicepresidente della Uefa – è anche parlamentare dell’Oppzh, il partito filorusso messo al bando dal Parlamento ucraino poche settimane dopo l’invasione con l’accusa di collaborazionismo.
La proposta del consigliere del ministro degli Interni Andrusiv di introdurre “una tassa una tantum di 3 o 5 mila dollari per permettere ad alcuni uomini di poter varcare il confine per esigenze lavorative” è una toppa peggiore del buco. Per la classe media sono cifre insostenibili, e si teme un incentivo alla fuga verso le stesse persone che finora hanno saputo sfruttare i meccanismi corruttivi delle dogane.
In un questo clima, la decisione di Zelensky di non fare concessioni ai club appare logica. Il calcio ucraino dovrà adattarsi – pur fra lo scetticismo di una parte degli stessi calciofili che non lo ritengono, per ora, una priorità – alle nuove condizioni imposte dall’invasore. Il principale sito sportivo del paese Tribuna parla già di “Modello Israele”. A Tel Aviv, si gioca anche se la sirena suona a poche ore dalla partita, con molta fiducia nella contraerea. Riuscirà anche il calcio ucraino a sopravvivere sotto le bombe?