Foto EPA/BALLESTEROS via Ansa 

il foglio sportivo

I segreti di Ancelotti passano di padre in figlio

Roberto Perrone

Davide Ancelotti si racconta: “Sento di dover dare sempre qualcosa di più degli altri, così sono più motivato”

La mia ora verrà”. Davide sostiene che, per ora, basta un solo capitano Ancelotti, Carlo “Master & Commander”, nickname dello specialista Carlo Pellegatti. E che la sua ora al timone verrà. Davide per ora si accontenta di essere un vice, un collaboratore, un consigliere, ma soprattutto un figlio come amico. Un po’ come il dottor Stephen Maturin con il capitano Jack “Lucky” Aubrey, entrambi diventati famosi per il film con Russell Crowe e Paul Bettany, tratto dai libri di Patrick O’Brien. Il dottore è anche un po’ agente segreto e Davide Ancelotti, per esempio, è stato bravo a scoprire Fabian Ruiz a Siviglia quando viveva laggiù con la sua futura moglie.

 

Davide Ancelotti ha dovuto (e deve) superare sospetti e maldicenze. Non è il primo “parente di” e non sarà l’ultimo, nel calcio e nella vita in genere. In fondo, tutti abbiamo bisogno di qualcuno di cui possiamo fidarci ma non crediamo a un Master & Commander che si porta appresso un familiare solo per regalargli uno stipendio. Nel calcio le raccomandazioni sono volubili come il pallone. E poi “la faccenda del nepotismo compare in caso di sconfitta”, chiosa Davide, dimostrando saggezza. Quando vinci, todos caballeros. Ora, il recordman Carlo IX, numero ottenuto dalla somma dei campionati conquistati in Europa (cinque) e dalle Coppe dei Campioni (quattro), può permettersi di assumere tutti i parenti che vuole, oltre a figlio e genero (nutrizionista). 

 

A Napoli Davide ha avuto i problemi maggiori per la parentela. Il Napolista di Massimiliano Gallo, tra i pochi a difenderlo, scrisse: “È sorprendente, per non dire ridicolo, che proprio nella terra del familismo amorale – famosa accusa mossa da E. C. Banfield alla società meridionale – si levi un moto d’indignazione”. Sembrava che il problema fosse lui. In ogni caso, esiste il forte sospetto che anche altrove, nel nostro simpatico paese, in caso di risultati non buoni la questione sarebbe emersa. Ancelotti jr è un ragazzo intelligente, gira la sindrome del raccomandato in senso positivo: “Sento di dover dare sempre qualcosa di più degli altri, così sono più motivato, alla fine è uno stimolo”.

 

Davide Ancelotti, secondogenito, dopo Katia, di Carlo e della sua prima moglie, Luisa Gibellini, è nato a Parma il 22 luglio 1989. Ha due figli gemelli, Leo e Lucas, avuti da Ana Galocha. “Quando mio padre vinse la sua prima Coppa dei Campioni da giocatore, a Barcellona, io ero nel pancione di mamma”. Che tipo la Luisa. Esuberante, simpatica, come emergeva a “Quelli che il calcio”. Durante una trasferta a Istanbul con il Parma, venne per tutto il tempo in giro con noi giornalisti, tra battute e passeggiate. Ci divertimmo da matti. Prese anche il brevetto da pilota di elicotteri. Forse Katia, che tentò la strada dello spettacolo (partecipando ad Amici di Maria de Filippi) è più simile a lei. Davide è più riservato, qualcuno dice timido. Luisa è mancata il 24 maggio del 2021. “Poco prima aveva profetizzato il nostro ritorno al Real”. Una famiglia molto legata, anche con il divorzio dei genitori. 

 

I primi ricordi calcistici di Davide risalgono al periodo di Ancelotti sr a Reggio Emilia, punto di partenza della nuova vita in panca di Carlo IX. Non ha una squadra per cui tifare, a parte quella dove sta con il padre “ma il Milan per lui ha rappresentato qualcosa di più, quindi anche per me è lo stesso”. E il Milan, un giorno, lo allenerebbe volentieri. Con la maglia rossonera intraprende un percorso da calciatore che si interrompe presto. Dopo le giovanili va, un grande classico, in provincia, al Borgomanero, Serie D. Centrocampista, nelle foto dell’epoca ha il “faccione” ancelottiano. A fine 2009 capisce che non è la sua strada. E la motivazione testimonia il suo valore: “Non c’era comunicazione tra mente e talento. Il mio cervello dava gli impulsi giusti per una giocata ma le gambe andavano da un’altra parte”. Riprende a studiare, Scienze Motorie. E non ha ancora smesso, anche dopo la laurea: l’apprendimento continua. La prima esperienza in un club avviene al Parma come osservatore e allenatore di una squadra dei Giovanissimi. Quindi preparatore atletico alle giovanili del Psg. “Mi sono trovato, senza sapere una parola di francese, con dei ragazzini che parlavano lo slang della strada. Esperienza durissima, ma estremamente formativa”. Fa il preparatore anche nella prima avventura di Carlo al Real, mentre al Bayern Monaco diventa vice allenatore. A Elvira Serra, che l’ha intervistato per il Corriere della Sera, ha raccontato quella che Silvio Berlusconi chiamerebbe “mission”: “Ho il compito, con lo staff, di sfidarlo continuamente, metterlo in discussione, perché abbia sempre dei dubbi. Non siamo yes man. Poi in allenamento gli do una grande mano con l’organizzazione. Oggi si cerca di individualizzare il lavoro: c’è l’aspetto fisico, psicologico, tattico, il gioco degli avversari”. Sa che agguantare la storia paterna non è pensabile. “Quello che ha fatto lui è quasi impossibile da raggiungere. Io voglio avere la mia identità”. Eccola: “Una squadra che giochi da dietro, ma che sappia fare un po’ tutto, una squadra completa. Non sono integralista: l’allenatore è un professionista che deve conoscere il gioco e trovare la migliore soluzione con i calciatori che ha a disposizione”. Ancelottiano, potremmo definirlo. 

 

Il 10 giugno si sposa con Ana a Mairena de Alcor, cittadina poco distante da Siviglia. Sua sorella Katia convolò nel 2014, in occasione della Decima Champions del Real, sempre con papà in panchina. Ora non ci sono più figli disponibili per la cabala. Ma rimangono i nipoti.

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