Il Foglio sportivo
“Quello che ho imparato dallo sport, Schumi e Senna”, parla Alessandro Benetton
Il Fondatore e guida di 21 Invest ed ex presidente della scuderia Benetton Formula racconta al Foglio: “La F1 mi ha insegnato ad avere coraggio, a giocare di squadra e il valore della leadership”
Alessandro Benetton ha seguito le traiettorie di Senna e di Schumacher per diventare quel che è diventato. Fondatore e guida di 21 Invest e dal 2022 presidente di Edizione, una delle principali holding industriali europee. Lo sport è sempre stato parte della sua vita, non solo perché è stato sposato per tredici anni con Deborah Compagnoni, la madre dei suoi tre figli. Alessandro è maestro di sci, praticante di windsfurf e ora anche di surf. Soprattutto all’inizio della sua “Traiettoria” presidente di Benetton Formula, la squadra di F1 che ha vinto due mondiali piloti e uno costruttori con Michael Schumacher. Era l’epoca in cui quelli che fabbricavano maglioni andavano più veloci di chi per mestiere fabbricava le auto, tanto che un giorno a Maranello decisero di prendersi pilota e tecnici del team avversario. “L’uomo, l’imprenditore, il surfer e il padre si rincorrono e si contaminano”, scrive Alessandro che ha voluto raccontarsi in una biografia per spiegare ai giovani come trovare la loro traiettoria vincente. Lo stesso che fa ogni settimana sul suo profilo Instagram. Vuole parlare ai giovani, trasmettere e ricevere energia allo stesso tempo. “Uno dei ragazzi con cui collaboro per i miei video aveva letto qualche pagina che avevo nel cassetto e mi ha detto: ma questa storia può essere di ispirazione, la traiettoria non è una linea retta. Al netto del fatto che ho avuto un punto di partenza privilegiato la mia storia può trasmettere degli insegnamenti ai giovani”.
Una traiettoria che ha molto a che fare con lo sport come racconta Alessandro al Foglio Sportivo: “Vivere con passione qualsiasi tipo di interesse, è il primo consiglio. Perché l’insieme di incontri, esperienze, emozioni vanno viste come qualcosa di rotondo che accade ogni giorno. È bello non sprecare le occasioni di apprendimento che possiamo avere da momenti apparentemente insignificanti”. La Formula 1 da ragazzo, appena uscito dall’università e dal Master a Harvard: “Sono stato catapultato in un mondo senza averne i meriti. Ero molto giovane, lavoravo alla Goldman Sachs, mio padre aveva avuto l’idea di passare dalla sponsorizzazione alla proprietà di un team per far conoscere il marchio. La Formula 1 mi ha insegnato ad avere coraggio, qualcosa che poi ho messo in pratica nella mia attività. Entrare in settori dove ci sono degli specialisti può essere pericoloso, ma può anche essere un’occasione perché porti un nuovo modo di guardare le cose. Hai un angolo di visuale diverso e questo paradossalmente può essere un vantaggio competitivo. Ho imparato che alla fine il gioco di squadra è fondamentale perché in un team di F1 si vince come in un’orchestra se ognuno suona bene il proprio strumento. Ho imparato che la leadership dell’individuo può fare la differenza nel trovare il ritmo giusto della musica. Non potrò mai dimenticarmi la personalità di Schumacher in questo senso. Ho imparato che lo sport, come la vita, è fatto di alti e bassi, ma che la vera tempra la sviluppi quando nel momento di debolezza riconosci che non hai alternative se non cambiare e individuare soluzioni inaspettate e spesso geniali. Dal punto di vista formativo è stata un’esperienza importante anche perché la condividevo con altri impegni, tanto che mio padre mi disse per la presidenza di Benetton Formula non prenderai una lira. Il vero ritorno è stata l’esperienza”.
Quando vide per la prima volta Schumacher rimase con la tazzina del caffè a metà strada tra il tavolino e la bocca. “Mi accorsi subito, come tutti, che aveva qualcosa di speciale dopo i primi giri strepitosi che aveva fatto con la Jordan a Spa. Mentre lo guardavo squillò il telefono. Era Briatore. Tu parla con Ponzano, mi disse, al resto penso io”. Chi ha scoperto Michael? Briatore si prende tutti i meriti. Ross Brawn fa altrettanto. Alessandro è più realista: “A parte Jordan che lo mise in macchina, credo che Michael si sia scoperto da solo”. Il primo incontro non si scorda mai: “Ho avuto l’impressione di trovare un grande bambino. Da una parte questo entusiasmo, questa passione. Mi ricordo che mi disse che la cosa che lo aveva colpito di più guidando per la prima volta una Formula 1 erano stati i freni. Non pensava si potesse frenare così tanto. Però allo stesso tempo, aveva una fidanzata che poi è diventata la moglie, era estremamente serio. Sembrava già uno che aveva progettato la sua vita. Era interessante questo suo modo di porsi, era già in grado di chiedere al suo interlocutore di tenere l’asticella alta. Un giovane che da una parte si stava divertendo, ma che ti diceva: guarda che io sono qui per ottenere il massimo”.
L’anima della Benetton in quegli anni era Flavio Briatore. Così diverso da Alessandro Benetton. Ma insieme costruirono qualcosa di impensabile per la Formula 1: “Con Flavio ho un rapporto buono – racconta – Anche lui arrivò in Formula 1 senza conoscere il settore e credo che alla fine fu un vantaggio non avere esperienze precedenti, gli concedeva una mobilità che non era quella tipica del settore. Allora si usava fare dei contratti biennali con i piloti a prescindere da tutto, anche dalle prestazioni e siamo stati un po’ noi a richiedere un livello di attenzione e di prestazioni più alto con contratti legati ai risultati”. Da quest’esperienza ricava una massima: “Il movimento è cruciale per rimanere vivi”. Benetton in Formula 1 rappresentava la rivoluzione in un mondo che era molto chiuso. “Innovammo facendo capire che ogni tanto devi avere il coraggio di cambiare le regole. Vi auguro di non stare mai tranquilli. In quegli anni non lo siamo proprio stati. Dovevamo prendere dei rischi. E il mio ruolo era gestire e controllare tutta la nostra esuberanza e dall’altra, verificare che Ponzano capisse il significato di queste scelte d’avanguardia per la Formula 1 dell’epoca”.
La Formula 1 significa incontri che hanno lasciato il segno come quello con Ayrton Senna: “Trasmetteva energia. Quelle che oggi chiameremmo good vibes. Lui ce l’aveva e mi piaceva il fatto che alla fine era lì per fare al massimo lo sport che amava e non aveva paura di avere opinioni diverse rispetto agli altri. Emergeva il valore della personalità e del proprio punto di vista”. Ma nello sport ha trovato altri esempi. Altri uomini che hanno lasciato traccia nella sua formazione. Schumi a parte, “Muhammad Alì ha lasciato un segno che è andato oltre lo sport. Ha sfruttato il suo talento e la personalità per delle battaglie incredibili per aiutare i più deboli. Kelly Slater il campione del mondo più giovane e più vecchio del suo sport, il surf. La passione, la capacità di migliorarsi continuamente, la motivazione e il divertimento ti danno una benzina che ti permette di allungare la tua carriera. Mi ha insegnato che non bisogna mai smettere di migliorarsi”.
Chi è oggi Alessandro Benetton? “Un imprenditore che ha trovato, lavorando e sperimentando la propria traiettoria e il divertimento anche in maniera casuale, la soddisfazione di poter essere utile agli altri. Altri che sono utili a me perché mi piace avere un rapporto molto stretto con il mondo dei giovani che frequento con i social a cui mi sono avvicinato grazie ai miei figli”. Il viaggio in fin dei conti è appena iniziato: “Bisogna continuare a cambiare, uscire dalla zona di comfort, rimanere moderni e aggiornati”. Una traiettoria alla Schumacher, alla Senna. E anche alla Muhammad Ali.