Il Foglio sportivo
Lo stuntman diventato pilota
Storia di Toprak Razgatlıoglu, il turco campione del mondo in Superbike ”Facevo acrobazie come papà, ma ora in pista mi diverto di più”
In Romagna la moto si chiama motore e non è passione, ma fede. Infatti la domenica non si va a messa, ma a girare. Oggi e domani, il centro del mondo del motore è qui, nel cuore della Romagna, sul circuito di Misano Adriatico intitolato a uno dei suoi figli più amati, Marco Simoncelli, dove va in scena l’unico round italiano del mondiale Superbike, quello riservato alle moto derivate dalla serie. L’anno scorso il campionato è stato talmente bello da rivaleggiare con la Formula 1: la sfida tra il sei volte iridato Jonathan Rea, nordirlandese, e il pretendente al trono Toprak Razgatlıoglu, turco, è stata pazzesca. 13 vittorie a testa per i due contendenti. E all’ultimo atto di una stagione che pareva infinita, a 25 anni e 35 giorni è stato proprio Razgatlıoglu a spuntarla, divenendo campione e al contempo idolo di un paese che oggi stravede per lui, e riportando la Yamaha all’iride: non accadeva dal 2009.
I fuoriclasse parlano poco, ma lasciano il segno anche con le parole. “Io corro per vincere. Ma prima ancora, corro per correre. Il più forte possibile”, diceva Gilles Villeneuve. E anche se in pista sono dei giganti, il loro animo è spesso sensibile; anzi, più sono grandi più sono sensibili. A partire proprio da Gilles. Toprak non fa eccezione. Lo percepisci fin dal tono della voce. Infatti, quando gli chiedi se gli fa paura correre, non risponde. Quando gli chiedi il coraggio cos’è, non risponde. E in fondo è comprensibile, perché il silenzio è la sua corazza di pilota. Ma poi, quando gli chiedi di suo padre, ti dice: “Da piccolo guardavo sempre mio padre, che era uno stuntman con le moto. Anch’io lo sono diventato. Ma poi ho cominciato a seguire Kenan, e ho capito che correre mi sarebbe piaciuto di più. Ho cominciato il motocross, poi sono passato alla pista. Mio padre era molto famoso in Turchia. Quando l’anno scorso sono diventato campione del mondo, è stato per lui, mio padre. Spero che dovunque lui si trovi, abbia potuto vedere suo figlio diventare campione”.
Il padre è mancato nel 2017, in un incidente in moto, quando Toprak aveva 21 anni. Kenan è Kenan Sofoglu, un’altra leggenda per il suo paese, e forse (per ora) più grande: è stato cinque volte campione mondiale Supersport, e oggi è il mentore di Razgatlıoglu. Anche Sofoglu ha perso degli affetti a causa della velocità: due suoi fratelli, di cui uno proprio in moto. Statistiche, e storie, da Tourist Trophy, la regina delle gare su strada. Ed è questo il ponte tra un paese motociclisticamente giovane come la Turchia e l’Isola di Man, dove si è cominciato a correre nel lontano 1907: il rischio come prezzo da pagare per la gloria. La Superbike è il parente più prossimo delle corse su strada, che si corrono con lo stesso tipo di moto, simili a quelle prodotte in serie. Forse per questo è così visceralmente amata, da chi la ama.
L’idolo di Toprak, però, non era il padre, ma proprio Sofoglu. “Perché quando ho cominciato a correre dicevo: un giorno sarò un campione come Kenan Sofoglu”, spiega. “Sono molto felice di lavorare con lui. È il mio allenatore, ma è come mio fratello, è la mia famiglia”. E di nuovo Toprak mostra la sua sensibilità, richiamando la fiducia e la protezione che ti offre la famiglia. Come fa anche quando cita un altro dei personaggi chiave della sua carriera, Manuel Puccetti. “Ho corso cinque anni per il team di Manuel, che è una persona che mi piace molto. Lo chiamo Boss, ma quando parlo con lui è come parlare con la mia famiglia. Molte volte, alle corse, mangio alla sua hospitality e non alla mia, e non solo perché il cibo è italiano e buonissimo”.
Eppure, in pista Razgatlıoglu è micidiale. Velocissimo, a detta di tutti ha un talento eccezionale. “Probabilmente il talento più grande che si sia visto nel mondiale Superbike negli ultimi vent’anni”, commenta Roberto Righi, direttore generale di Prometeon Tyre Group, che di Razgatlıoglu è appena diventato sponsor. “Tanto è vero che ha tenuto testa a un altro fenomeno come Jonathan Rea, capace di vincere sei titoli iridati di fila. Toprak è un pilota fantastico e un talento puro, dalla storia personale straordinaria, a partire dal fatto di essere diventato campione del mondo venendo da un paese con una tradizione motociclistica minore: una prova non soltanto di talento, ma anche di una determinazione e di una voglia di arrivare eccezionali”.
Lui lo dimostra ogni volta che scende in pista. Nell’ultima gara, all’Estoril, all’ultimo giro di una gara che pareva vinta, è scivolato, ma ha rialzato la moto riuscendo a non cadere. “Avevo quasi vinto”, racconta, “ma ho perso la ruota davanti. Mi sono detto: È l’ultimo giro, Toprak, non puoi cadere. Avrei fatto di tutto per non cadere. Ho spinto con la gamba e la moto si è rialzata. Sì, è lo stile di Marquez. Poi ci siamo parlati, e lui mi ha detto: Fantastico! A me piace tantissimo Marquez, amo il suo stile di guida, lui per me è una leggenda. Forse è per questo che il mio stile di guida è simile al suo: perché lui mi piace così tanto”.
Ma qual è il suo segreto? “Io cerco sempre il limite, in ogni momento”, spiega. “Quando entro in curva staccando all’ultimo centimetro, io sento il limite, ne ho proprio la percezione. A volte non lo sento subito, devo piegare ancora un po’ di più la moto, ma poi lo sento. Provo sempre a frenare forte, ogni curva, perché è il mio modo per trovare il limite. Da fuori sembra che io abbia una guida aggressiva, ma è solo il mio stile di correre, infatti in sella io sto bene, vivo la moto come un divertimento”. A vederlo quando arriva in curva frenando così forte da alzare la ruota posteriore (in gergo si chiama Stoppie ed è il suo marchio di fabbrica), effettivamente lo si direbbe più teso. La sua forza, però, risiede anche nella sua dedizione: “Non ho hobby. Trascorro i miei giorni alla pista di Kenan per allenarmi, poi torno a casa”.
Quest’anno non ha ancora vinto, sebbene il campionato sia a un quarto della sua lunghezza. Oltre a Rea, gli tiene testa un altro vecchio marpione, Alvaro Bautista, spagnolo campione del mondo classe 125 nel lontanissimo 2006. Perché le corse, dopo Nuvolari, sono anche un fatto di motori e meccaniche, e superare i limiti del proprio mezzo, come facevano Villeneuve o Kevin Schwantz, come fa Marquez e ora anche Razgatlıoglu, non è sempre possibile, e mai agevole. Ma se c’è una categoria nella quale ciò può accadere, è proprio il motociclismo e in particolare la Superbike, dove l’uomo, il talento e il cuore fanno ancora la differenza. E se questo porta i piloti a stracciarsi le carene (copyright Giovanni Di Pillo) o a compiere magie come rialzare moto già cadute, ben venga e soprattutto in Romagna, l’unica terra al mondo dove gli apostoli indossano il casco.
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