Mvp

Stephen Curry ha deviato il corso dell'Nba

Filippo Passeri

I Golden State Warriors hanno vinto il quarto anello in otto anni e Curry il primo premio di miglior giocatore delle Finals della sua carriera. Non che ci fosse bisogno di questo riconoscimento per certificare la portata rivoluzionaria del suo gioco 

Zero su nove da tre. È questo il dato che ha sorpreso di più tutti gli addetti ai lavori alla fine di gara cinque delle Finals Nba. E si riferiva alle zero triple su nove tentativi di Stephen Wardell Curry. Per raccontare la sua grandezza cestistica basterebbe questo: essere sorpresi perché non segna nemmeno un tiro da dietro la linea dei tre punti. Effettivamente, a giustificare lo sbigottimento di molti, c’è questo record all-time Nba: prima di gara cinque la stella degli Warriors era arrivata a 233 partite consecutive tra regular season e playoff con almeno una tripla a segno.

Questa notte, in gara 6, ha impiegato 11 minuti e 5 secondi per infilare la prima della sua serata, prendendo un tiro difficilissimo, dall’angolo, senza coordinazione e senza ritmo, ma facendo “solo retina”, as usual. Il primo dei sei tiri da tre (con un’irreale 54.5 per cento) che hanno portato Golden State Warriors alla vittoria del quarto anello negli ultimi otto anni. E al primo titolo Mvp delle Finals per Curry, che nelle vittorie precedenti era stato leggermente oscurato da Kevin Durant e Andre Iguodala. Questa volta no, questa volta Curry ha giocato una serie finale con pochi precedenti nella storia Nba mettendo a tacere gli ultimi sparuti critici. Come se ci fosse bisogno, per riprendere le parole di Flavio Tranquillo, di un titolo Mvp delle Finals per considerare Curry un fenomeno assoluto del gioco.

Che poi è riduttivo parlare solo di triple per il giocatore nato a Akron (anche se può essere considerato, probabilmente il migliore tiratore da tre di sempre) perché in Nba c'è stato un prima e ci sarà un dopo Curry.

Ci sarà un dopo Curry per la facilità con cui ha reso semplici gesti tecnici impensabili (si veda il tiro di questa notte a metà terzo quarto da 10 metri, dopo il quale indica l’anulare a cui mettere il quarto anello in carriera) e per la forza mentale che gli ha permesso di migliorarsi in tutti gli aspetti del gioco, a partire dalla difesa.

Ci sarà un dopo Curry perché un piccoletto di 1,88, si fa per dire, è riuscito a imporsi in una lega di giganti e super atleti (quel piccoletto per il quale la mamma pregava tutte le notti chiedendo a Dio qualche centimetro in più perché poi il talento e le mani avrebbero fatto il resto).

Ci sarà un dopo Curry per l’abilità con cui uno della sua statura, che fatica a schiacciare, riesce ad arrivare costantemente al ferro ed appoggiare la palla a canestro.

Ci sarà un dopo Curry perché come ha detto Steve Kerr, l’allenatore dei Warriors, “non è mai esistito nessuno come lui. Lui da solo è il nostro attacco perché attira i difensori a 10 metri dal canestro”.

Ci sarà un dopo Curry per la meccanica di tiro, particolare, per non dire sbagliata, con cui Steph è diventato il miglior tiratore da tre di sempre.

Ci sarà un dopo Curry perché ha mandato in tilt un sistema costruito su concezioni e abitudini tattiche consolidate da decenni. 

Infine, ci sarà un dopo Curry per il suo modo unico di stare in campo. Perché ogni partita dei Golden State Warriors vale la pena di essere vista anche solo per la sua presenza, nella certezza che prima o poi combinerà qualcosa, anche una sola cosa, che ci lascerà a bocca aperta.

Di più su questi argomenti: