Il Foglio sportivo - That win the best
In Serie A fanno la differenza i flop della Premier League
Da Lukaku a Pogba, l’elenco è lungo. Quanta confusione sulla parificazione degli atleti trans
Ho bisogno di una scorta di brandy, e della mia bionda, per avvicinarmi al periodo più difficile dell’anno: quello in cui stimabili colleghi, televisioni e giornali fingeranno di esaltarsi per gli Europei di calcio femminile, cercheranno di convincerci che Megan Rapinoe vale Kylian Mbappé, ci spiegheranno la bellezza di uno sport che sembra una moviola senza fine, inondandoci di retorica sulla parità tra uomini e donne. Io sono un vecchio reazionario rompicoglioni, e mai come in questo periodo sono felice di esserlo. Almeno sono libero dal paradosso imbarazzante in cui sono i giornalisti sportivi fieramente progressisti (quelli con il complesso d’inferiorità che negli ultimi anni li ha trasformati in tuttologi sui social, persi in un’eterna gara a dire la cosa “giusta” su Trump, Orbán, Salvini, il sessismo e il razzismo): in prima linea a difendere i diritti delle donne nello sport ma zitti quando c’è da dire che i trans che gareggiano negli sport femminili falsano competizione e risultati.
Nei giorni scorsi la Federazione internazionale di nuoto e quella di rugby hanno ufficialmente escluso i nati maschi che cambiano sesso dalle competizioni femminili. Giusto il tempo di brindare che subito i tedeschi del calcio (e chi, se no) hanno stabilito che un trans potrà decidere se giocare in una squadra maschile o femminile quando vuole. Ho posato la bottiglia e ho pensato: che palle. Da mesi lo sport è diventato una sottocategoria del Pride, l’unica cosa che interessa è se un’atleta donna è nata uomo oppure no e se un atleta uomo se la fa con altri uomini o è ancora così anni Novanta da trombare con le soubrette.
Io ho perso le speranze, sia chiaro, leggo che la Federazione ciclistica internazionale potrebbe invece aprire ai trans nelle gare femminili in nome dell’inclusività e dei diritti delle donne. Qui il problema è proprio che cosa è una donna, concetto divenuto più interpretabile di un fuorigioco passivo. Divertitevi voi con queste follie (e se venite a farmi il pippone sulle sofferenze personali dei singoli atleti metto mano alla pistola anche se non sono negli Stati Uniti), io mi butterò sul calciomercato: vi vedo esaltati per il ritorno di Paul Pogba in Italia, io che l’ho visto giocare in questi anni di Manchester United sono convinto che sia diventato una sorta di Mandragora, o un Sensi più alto e con le pettinature più brutte. Ha fatto panchina con tutti gli allenatori dei Red Devils, non è più titolare nemmeno in Nazionale, è stato raramente all’altezza. Insomma, è pronto per fare la differenza in quel campionato rionale che è la Serie A, dove anche i flop della Premier League come Lukaku sanno di essere più forti della media.
Il Liverpool ha salutato Mané, il Tottenham come la Juve vuole Zaniolo (e lo psicodramma estivo romanista è servito), il Barcellona vorrebbe Lewandowski ma può pagargli lo stipendio solo in tapas, al momento la cosa più eccitante dell’estate calcistica è la lite a distanza tra Calhanoglu e Ibrahimovic, sapientemente orchestrata per dare qualcosa da commentare ai tifosi: Zlatan non è stato decisivo per lo scudetto, ha detto il turco, falso, urlano in coro i milanisti. Per la risposta di Ibra aspettiamo di sapere gli orari di ricevimento dell’ospizio per andare a chiedergliela direttamente.