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Il Foglio sportivo

"Un Mondiale così bello non lo rivedrete". Dino Zoff racconta il Mundial 1982

Umberto Zapelloni

Il portiere campione del mondo ricorda Spagna ‘82: “Nessuno spettacolare come noi”. E ai numeri uno di oggi dice: “Meno piedi, più uscite”

Il mio nome è Zoff, Dino Zoff. Se avesse bisogno di presentarsi potrebbe farlo alla James Bond. Ma Dino Zoff non ha bisogno di presentazioni. È un monumento, un francobollo, una leggenda, oltre che il portavoce del Mundial ‘82. Le sue mani quarant’anni fa hanno alzato nel cielo azzurro sopra Madrid la Coppa del Mondo più bella che l’Italia abbia mai vinto. Quel gesto è diventato un francobollo firmato da Renato Guttuso. Zoff è ancora oggi l’unico ad aver vinto Europei e Mondiali. Ha cominciato da ragazzo, ha chiuso da uomo. Sempre con il suo stile, la sua integrità. Parole poche e sempre centrate. Parate tante, quasi sempre decisive, quasi mai spettacolari, perché ha sempre badato alla concretezza come gli hanno insegnato dalle sue parti dove non era autorizzato a cercare scuse, mai. “Una volta mio padre mi chiese perché avevo preso un gol. Gli risposi che non avevo visto partire il tiro. Mi disse: ma che cosa sei tu un farmacista? Se non lo vedi tu chi lo deve vedere?”. Dopo aver chiacchierato con lui ci si rende conto che, oltre a tutto quello che abbiamo detto, Dino Zoff è anche un’altra cosa. È una medicina. Prendi mezz’ora di Zoff al giorno e la vita di sembrerà più bella.

 

Cominciamo.

 

Che cosa le è rimasto in casa di quel Mondiale del 1982?
“In casa ho i ricordi”.

 

Qualche cimelio le sarà rimasto, tra maglie, telegrammi di Pertini, riconoscimenti?
“Certamente, ma non lo dico perché poi magari me lo rubano. Però sì, un amico mi ha costruito una stanza della memoria al paese”.

 

Se dovesse scegliere un’immagine di quel Mondiale quale sceglierebbe? La parata su Oscar, lei che alza la coppa, la partita a scopa con Pertini?
La parata contro il Brasile è stata determinante e mi ha dato gli onori, poi ricevere la coppa mi ha portato una felicità violenta come solo lo sport sa dare. In un attimo ti manda in paradiso. Sono momenti che non durano molto, ma ti fanno sentire in gloria. Tutti momenti in cui sento ancora la felicità di Bearzot, quella è sempre presente e non se ne va”.

 

Quel famoso bacio dato a Bearzot ancora non riesce a spiegarselo per come è sempre stato misurato?
“Quella volta andai un po’ oltre i soliti canoni friulani, mi sono lasciato trascinare dall’istinto. E sono contento di averlo fatto. Per fortuna poi mi trattenni quando mi venne l’idea di baciare la regina durante la premiazione”.

 

Che effetto le ha fatto raccontarsi in un libro?
“Ho giocato d’anticipo. Per i quarant’anni sapevo che tutti mi avrebbero chiesto un sacco di cose e io sono stato felice di raccontare quell’avventura”.

 

Pensa che questo racconto possa essere un esempio per i calciatori di oggi?
“No, sono altri tempi, oggi i giovani sono diversi. Io pensavo di aver dato un segno di comportamento in campo, invece vedo che in pochi mi seguono ancora. Vedo delle sceneggiate insopportabili, ma forse fanno parte del mondo moderno, di una certa esasperazione mediatica”.

 

Certo voi all’epoca in ritiro non avevate telefonini, social o playstation, ma libri, carte, sigarette… Si può fare gruppo vincente anche oggi?
“Sono un po’ restio ad adoperare la parola gruppo. L’importante è inculcare nei giocatori il senso del dovere, il fatto che devono dare tutto per fare bene il loro lavoro anche nella componente comportamentale. Io ho vinto anche con squadre dove non tutti si volevano bene, però facevano tutti il loro dovere. Devi capire che la palla va data a chi è giusto darla, indipendentemente che sia amico o nemico. Quello crea il gruppo dopo”.

 

Bearzot ci mise tanto di suo con convocazioni che fecero arrabbiare molta gente.
“Scelse delle persone fatte in un certo modo. Fece arrabbiare Milano perché non chiamo Beccalossi, Roma perché non convocò Pruzzo. Diede invece ancora fiducia a me dopo l’Argentina e le critiche per quei gol presi, chiamò Rossi nonostante le scommesse e continuò a farlo giocare…”.

 

Alla fine ha avuto ragione lui.
“Però certe scelte le paghi. Non ha avuto gli onori che doveva avere. Io c’ero e so bene che solo lui poteva farci vincere quel Mondiale”. 

 

Che cosa scattò dopo quel primo turno passato con tre pareggi e tante critiche?
“Il primo turno è pesantissimo per la responsabilità e la paura di non passarlo. Quando in Germania nel 1974 fummo eliminati al primo turno perdendo con la Polonia, alla Malpensa ci vennero a prendere con il cellulare. Che non era il telefono… Poi passato il primo turno la pressione diminuisce un po’, dici: almeno il minimo sindacale l’ho fatto. Allora ti esprimi con un po’ più di leggerezza”.

 

Beh se pensiamo che adesso non arriviamo neppure al primo turno del Mondiale.
“Però oggi passa tutto in cavalleria… magari c’è qualche chiacchiera in più, ma basta. Almeno questa volta c’era il salvagente dell’Europeo vinto che non era poca roba”.

 

Il vostro gioco, descritto come attendista, alla fine era molto moderno, avevate un terzino come Cabrini che faceva l’ala, un libero come Scirea che impostava. Se prendiamo la cronaca del gol di Tardelli in finale, se la passano solo i difensori fuori dall’area tedesca…
“Moderno o antico non so. L’importante è che la squadra si esprima in un certo modo. Non sarà facile vincere ancora con un gioco così spettacolare. Abbiamo fatto tanti gol su azione, tanti bei gol. Quelli del 2006 i cui meriti sono uguali, non voglio dire questo, però hanno vinto con un corner, ai rigori. Noi abbiamo fatto tanti gol bellissimi, credo sia irripetibile. Avesse vinto così un allenatore più alla moda di Bearzot…”.

 

Le piacciono i portieri che giocano tanto con i piedi?
“Vi spiego il mio pensiero, basta non dire che Zoff è contro i portieri che giocano con i piedi”.

 

Prego.
“Il ruolo del portiere è un gioco di responsabilità. Sbaglia già abbastanza, se tu lo metti nelle condizioni di rischiare ancora di più… si perde il concetto del portiere. Se mi dribbla l’attaccante quattro volte e alla quinta sbaglia e prende gol e magari perdi 1-0 finisce che è solo colpa sua. Io sento i commenti quando dite ‘quello è un bel portiere, gioca bene con i piedi.’ Io dico: è un bel portiere perché ha una bella presa, esce bene e gioca bene ANCHE con i piedi. È un di più. Importante, ma è un di più”.

 

Chi sono i migliori oggi?
“Donnarumma ci ha fatto vincere l’Europeo e quindi partiamo da questo. Quest’anno vediamo se gioca Meret perché il portiere ha bisogno di giocare”.

 

Donnarumma è a livello suo e di Buffon?
“Forse non ancora, ma ha tutte le qualità”.

 

Chi è stato meglio tra lei e Buffon?
“Buffon era meglio di me da giovane, ma non da vecchio. C’è dietro tutto un concetto di miglioramento, di lavoro per cercare di sbagliare di meno, non per parare di più”.

 

Oggi i portieri sono degli omoni rispetto ad un tempo. Alti, grossi. Una provocazione: non sarebbe il caso di allargare un po’ le porte?
“Però vedo che pur essendo così alti sulle palle alte in uscita ci vanno poco, hanno paura di sbagliare, vanno sempre di pugno. Dovrebbero sfruttare di più la loro altezza”.

 

La sua parata della vita è quella su Oscar?
“Un quoziente di difficoltà c’era. Non potevo respingere perché attorno c’erano tanti brasiliani. Non dovevo muovermi perché per alcuni secondi avevo il terrore che l’arbitro potesse dare il gol…”.

 

Oggi la tecnologia l’avrebbe aiutata. Le piace?
“Per il gol non gol e il fuorigioco è insostituibile. Ma su certe cose porta a interventi un po’ troppo fiscali. Il calcio è anche un gioco di contatto, certe partite come la nostra con l’Argentina possono essere molto dure”.

 

Insomma con il Var Gentile non avrebbe finito quella partita?
“Ma non so. Vedo che siamo più fiscali nel nostro campionato però”.

 

La diverte ancora il calcio?
“Sì, anche se il possesso palla esasperato mi annoia tremendamente. Toglie quel qualcosa di più che deve avere lo sport, quella voglia di fare sempre una virgola in più…”.

 

A proposito di virgole in più. Lei ha giocato contro Maradona, Pelé, Cruijff, ha giocato con Platini. Chi è stato il migliore?
“Mi hanno fatto gol tutti”. Risata. “L’artista in assoluto è stato Maradona. Poi la completezza di Pelé era unica. Poteva fare il regista, fare gol, faceva tutto. Giocatori fuori dal comune. Tutta gente che ha fatto vincere la propria squadra”.

 

A parte non aver mai detto a Bearzot che gli voleva bene, ha altri rimpianti?
“Rimpianti no. Però è certo che non mi piace rivedere le partite perché trovo sempre qualcosa che non andava. Però penso in quel momento non ero in grado di fare diversamente…”.

 

Ridarebbe anche le dimissioni da ct?
“Certamente. Sapevo che quello era un gesto rivoluzionario. Per me le parole hanno un peso. Non mi andava di far finire tutto a tarallucci e vino”.

 

Berlusconi le ha mai chiesto scusa?
“No, ma non le voglio neanche. Non ho nulla da recriminare”.

 

A parte Tardelli, l’unico autorizzato a chiamarla mummia, sente ancora qualcuno dei suoi compagni?
“Sì, certo, ma non ho le attrezzature elettroniche che hanno loro. Non sono nel gruppo su Whatsapp …”.

 

Uno spettacolo, come quell’Italia di quarant’anni fa. Bellissima e irripetibile.

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