Marcello Lippi, alla presentazione da ct della nazionale di calcio cinese. Ottobre 2016 (Ansa) 

Non sono diventati una potenza. La triste fine del sogno calcistico cinese

Francesco Caremani

Dirigismo governativo, corruzione anche a livello giovanile e gigantismo economico, senza un business plan adeguato. È già finita la rivoluzione del pallone di Pechino? 

Dirigismo governativo, corruzione e gigantismo economico, senza un business plan adeguato. Questi, in estrema sintesi, i tre principali fattori che stanno spegnendo i riflettori sulla Chinese Super League e non solo. “La Chinese Super League voleva diventare la Mls dell’Asia, ma a differenza del campionato statunitense non c’è mai stato un salary cap, la regola sugli Under 23, messi in campo e poi sostituiti dopo cinque minuti, è pedissequamente aggirata, e non c’è mai stato un piano organizzativo ed economico per coinvolgere veramente i tifosi, con club che cambiano continuamente città e stadi disseminati qua e là come cattedrali nel deserto. Un esempio? Nel negozio di Pechino della Nike, sponsor unico di tutte le società, non ci sono maglie delle squadre cinesi, zero marketing e merchandising”, racconta Nicholas Gineprini, giornalista freelance, fondatore con altri del sito allasianfootball.com, insegnante d’inglese e reduce da quattro anni vissuti nel Paese di mezzo, autore nel 2016 di “Il sogno cinese. Storia ed economia del calcio in Cina”.

 

In Cina Gineprini, marchigiano di Urbino, ci è arrivato nel 2018, seguendo un progetto di cooperazione calcistica bilaterale, insieme con Daniele D’Eustacchio – oggi direttore tecnico della Juventus Academy a Pechino –, e anche per cambiare aria, ma quel sogno, non solo calcistico, si è sbriciolato sotto i suoi occhi: “Volevo capire e conoscere da vicino quella realtà sociale e sportiva, che stava massicciamente investendo in Europa, a parte Li Yonghong al Milan – non ho ancora compreso cosa sia accaduto –, e nella Fifa con nuove sponsorizzazioni, inseguendo l’organizzazione del Mondiale del 2050. Ma già quando sono arrivato mi sono reso conto della deriva fascista della Cina, con il governo che imponeva ai calciatori che giocavano in Nazionale di nascondere i tatuaggi, mentre venivano ridotti i diritti delle donne e della comunità Lgbtqia+, arrivando al controllo orwelliano nella gestione, deficitaria, della pandemia, dove per un caso si porta tutto il condominio in un centro di accoglienza Covid. Ma già prima del Covid-19 c’erano state le deportazioni degli Uiguri, la repressione a Hong Kong e di altre minoranze etniche. In Cina, e non da ora, c’è una forte spinta isolazionista e si è scatenata una guerra contro la classe media, in particolare le aziende della Rete, dal food delivery all’educazione online, che rappresenta una fetta importante di questo mercato, tanto che chi può lascia il paese, cosa che ha già fatto il settanta per cento dei cittadini stranieri. La prossima sfida ‘elettorale’ tra Xi Jinping e Jiang Zemin deciderà in che direzione andrà la Cina”, sottolinea Nicholas, membro dell’Asia Research Institute dell’università di Nottingham, presieduto, tra gli altri, da Simon Chadwick, esperto della materia e autore di vari articoli e libri sul calcio cinese.

 

Un ex direttore della Federazione, intervistato da wildeastfootball.net, ha rivelato i bluff del football a quelle latitudini. Il governo, infatti, destina fondi alle scuole dove si pratica calcio e ai campus giovanili, fondi che vengono aumentati se ci sono collaborazioni internazionali: “Si chiama un allenatore straniero per due settimane, che non possono incidere sulla crescita dei ragazzi, e si ottengono più soldi. Questo accade pure se si vincono trofei giovanili e allora si corrompe la polizia per le registrazioni all’anagrafe, in modo che un ragazzino forte possa risultare residente in quel determinato distretto e iscriversi alla scuola di riferimento, così questa prenderà più finanziamenti. Infine, un altro tassello della corruzione si manifesta quando l’allenatore, spesso straniero, stila la lista dei meritevoli per andare a giocare a livello nazionale, lista che viene sostituita da quella del pari grado cinese, corrotto dai genitori che vogliono che il proprio figlio sfondi nel calcio”, afferma Nicholas Gineprini.

 

Un altro bluff riguarda i calciatori cinesi all’estero. Per loro è importante farsi un curriculum per poi tornare in Cina e ottenere un ingaggio milionario, tanto che il costo dei giocatori cinesi nella Chinese Super League ha raggiunto livelli imbarazzanti: “Ci sono programmi federali per andare in Portogallo, soprattutto, perché lì non c’è il limite agli extracomunitari, o in Brasile o in Spagna. Ma in squadre di Seconda o Terza divisione, nelle quali stanno sei mesi e poi tornano in patria, con minutaggi ridicoli. Il famoso Wu Lei, per esempio, all’Espanyol fa tanta panchina”, ci ricorda Nicholas. La ciliegina sulla torta, come accennato, sono gli stadi da 40, 50, 60mila posti in città sperdute che non hanno squadre importanti e un seguito così numeroso. Inizialmente per ospitare la Coppa d’Asia del 2023, cui la Cina ha rinunciato per via della pandemia, ma anche dopo questa decisione si è continuato sulla stessa strada, tanto che il Guangzhou Evergrande, club al collasso, ne ha costruito uno da 90mila posti. Intanto la Nazionale di calcio cinese non si è qualificata per il Mondiale 2022 e nelle ultime due coppe d’Asia non è andata oltre i quarti di finale. Negli ultimi dodici anni tra Nazionali Under 16, 19 e 23 il miglior risultato nelle coppe d’Asia di categoria è stato, solo una volta, i quarti di finale, per il resto eliminazioni alla fase a gironi o mancata qualificazione: “L’Under 23 nelle ultime dodici partite ne ha vinta solamente una contro il Bangladesh. Un deserto dopo la generazione cresciuta da Marcello Lippi. A questo Mondiale invece Corea del Sud e Giappone potrebbero fare bene, anche perché hanno la maggior parte dei giocatori migliori che militano in Europa”, dice Gineprini.

 

Oltre a raccontare il calcio cinese Nicholas in questi anni ha insegnato inglese online, sua attività principale, e vissuto in una Pechino che è cambiata repentinamente: “Quando sono arrivato era una bella città con cinema, teatri, eventi culturali e sportivi, veramente affascinante. Adesso sono rimasti solamente ristoranti e centri commerciali. Venticinque milioni di abitanti che una volta finito di lavorare non sanno più cosa fare. Mentre il resto del paese è stato egregiamente descritto nel film “An Elephant Sitting Still”: città brutte, coperte da una cappa di smog impenetrabile e opprimente. La pellicola è di Hu Bo, che si è poi suicidato, ed è tratta da un suo romanzo. Questa è la Cina fuori dalle megalopoli più attraenti”. Titoli di coda.
 

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