Mundial '82 - noi che non c'eravamo
Il modo giusto per vincere un Mondiale è quello dei ragazzi di Bearzot
Non tutte le vittorie sono uguali. Alcune restano nella memoria più di altre, tipo quella della Coppa del Mondo della Nazionale di Paolo Rossi e Marco Tardelli. Un racconto
Lui ne aveva viste tante. Diceva così. Aveva soprattutto visto il meglio. Aveva sottolineato questo con la voce: il meglio. E il meglio non era ciò a cui avevano assistito tutti la sera prima, che era tanta roba, chi mai se la sarebbe aspettata che finisse così? nessuno, o almeno nessuno che non fosse un maledetto iperottimista di natura, che c’è mai da fidarsi troppo degli iperottimisti di natura che lo sono o perché non capiscono cosa gli accade attorno o perché lo capiscono troppo. Già sembrava un miracolo essere arrivati alle semifinali e addirittura superarle. Vincere contro la Francia, poi... la Francia di Zidane, Thuram, Henry e Ribery, non che noi fossimo delle schiappe, ma quella era la Francia di Zidane, Thuram, Henry e Ribery. C’erano pochissime possibilità, pensavano tutti. E invece. E invece Zidane mentre illuminava il gioco gli entrò in ombra il cervello e l’Italia vinse ai rigori. Campioni del mondo. Ci si poteva nemmeno credere. E pure a distanza di ore, ci si credeva davvero. Tutto vero!, come il titolo della Gazza, ma mentre lo si leggeva e lo si pronunciava, qualche dubbio ancora rimaneva.
Lui no. Lui non aveva dubbi e viveva il risveglio dalla notte di festa con tranquillità, quella di chi sa come sono andate le cose, perché, diceva, ne aveva viste tante e soprattutto aveva visto il meglio. E il meglio era stato qualche anno prima, che voi nemmeno eravate nati. Il meglio era stata l’estate del 1982, in Spagna, quando i ragazzi di Bearzot avevano insegnato il calcio al mondo intero. Così si vince un Mondiale, diceva. Un Mondiale lo si vince e basta, pensavamo. E l’avremmo pensato in coro se solo ci fosse stato possibile, che diamine cambia vincerlo in modo o vincerlo in un altro.
Rochi lo stava mai a sentire nessuno, perché si sta mai a sentire davvero l’ubriacone del paese. Eppure quel giorno, lui, Rochi, era l’unico sobrio in paese. E l’unico che diceva che non era quello il modo di vincere un Mondiale, che era quello dei ragazzi di Bearzot il modo giusto per vincere un Mondiale. Ma che noi non lo potevamo capire, perché, in quell’ 11 luglio del 1982 nemmeno eravamo nati e proprio per questo non potevamo capire, che certe cose vanno vissute in diretta. Tipo il giorno nel quale l’uomo atterrò sulla luna. Quello era un evento da vivere in diretta, come poche altre cose: tra queste Italia-Brasile 3-2 e Italia-Germania Ovest 3-1.
Rochi raccontava minuto per minuto e avrebbe potuto pure fare una telecronaca in tempo irreale di quelle partite. E ogni volta che diceva paolorossi o marcotardelli gli si illuminava lo sguardo e sembrava felice, nonostante il bicchiere non ce l'avesse vicino e nemmeno le sigarette. Non in quel momento almeno. E nemmeno ne sentiva il bisogno. C’aveva i suoi paolorossi e i suoi marcotardelli e quella sensazione che quel momento, quello di allora, era stato il tempo giusto da vivere in diretta, in quel bar col televisore grande come ce ne erano pochissimi a esultare e brindare per i ragazzi di Bearzot che insegnavano calcio al mondo intero. Lì in mezzo agli amici e al prosecco che ancora era un vinaccio, ma sincero, che saliva dalla damigiana per la canna per poi scendere nei bicchieri.
Nessuno di noi però continuava a capire cosa c’era tanto di speciale in quel Mondiale, o almeno cosa c'era di tanto meglio rispetto a quello appena vinto. Lui, Rochi, raccontava dei gol di paolorossi di quell’urlo che riempiva l’anima e i bicchieri di marcotardelli, e lo faceva come fosse naturale capire che c’era mai stato nulla di meglio. L’avevamo vista tutti quella partita, quel calcio lento e fatto di contrasti che non si fanno più, ma c’era mai sembrata davvero eccezionale.
Capite niente. Concluse così.
Fece due passi per andarsene. Si fermò. Ci chiese una sigaretta e un bicchiere di vino.
Eravamo vicini, eravamo uniti, di nuovo, non avevamo più paura di saltare in aria, di non tornare a casa per una mezza parola. Eravamo vivi, vivi come non lo eravamo mai stati.
Qui potete leggere la prima puntata di Mundial ’82 - noi che non c’eravamo, scritta da Giuseppe Pastore.
Il Foglio sportivo