Mundial '82 - noi che non c'eravamo
Il Mondiale dell'82 fa parte di un inconscio collettivo. C'eravamo tutti
Poche cose sono così entusiasmanti e iconiche da essersi insinuate nel nostro cervello a furia di immagini, aneddoti, racconti. Il Mondiale dell’Ottantadue va anche oltre: è un patrimonio genetico comune
"T’è fat me Pertini! Ta s’ricòrdat Pertini in s’l’aereo?”. Ogni volta che a scopone sbagliavo a buttare una carta, mio nonno se ne usciva con questa frase. Faceva riferimento all’errore del presidente – ammesso solo in seguito in un telegramma personale inviato a Dino Zoff – durante la celeberrima partita a carte che vide l’inusuale coppia sfidare Causio e Bearzot sull’aereo che riportava in Italia la Nazionale italiana con la Coppa del mondo.
Sono nato il 13 gennaio. Nel 1983. E a mio nonno, che mi ha ripetuto quelle parole così tante volte – sì, le carte non sono il mio forte – rispondevo sempre: “Sì, me lo ricordo!”. Come se ci fossi stato, come se quel ricordo fosse proprio mio. Poche cose sono così entusiasmanti e iconiche da essersi insinuate nel nostro cervello a furia di immagini, aneddoti, racconti. Il Mondiale dell’Ottantadue va anche oltre: fa parte della memoria di un’intera nazione, di una specie di inconscio collettivo. E’ patrimonio genetico di tutti. Al punto da avere un posto di riguardo anche nella memoria di mia madre. Per lei il mondo potrebbe benissimo fermarsi a “Non ho l’età” di Gigliola Cinquetti.
Se si parla di calcio, sa che c’è un pallone ed è già un buon punto di partenza. Poi conosce Alessandro Del Piero perché non sarà mai un giocatore qualunque. Eppure, se mia madre vede una foto di Paolo Rossi lo riconosce alla prima occhiata. Dino Zoff è il portiere della parata all’ultimo minuto col Brasile e che sembrava riemergere dalla porta dell’inferno col pallone in mano. Si ricorda perfino di Oscar, il difensore verde-oro che ancora oggi si starà chiedendo perché avesse colpito quel pallone così bene di testa. Gaetano Scirea è il gentiluomo con cui la fortuna non fu altrettanto gentile. Marco Tardelli è la gioia di chi corre a braccia aperte per spiccare il volo. E poi c’è il bell’Antonio, Cabrini, che in casa ho sentito nominare così tante volte che mi sembra un amico di famiglia. Nomi, cognomi, persino ruoli e azioni. Non credevo mia madre avrebbe superato così brillantemente questo esame di letteratura calcistica. L’11 luglio del 1982 era la seconda domenica del mese e a Lardirago, il mio paese, era la festa del patrono. Tutti davanti alla televisione. Mentre io stavo per prendere la forma dell’idea che i miei avevano avuto tre mesi prima. Eppure, a pensarci, quel Mondiale me lo ricordo. Per interposta persona, dalle mie piccole orecchie in formazione, sono sicuro di aver sentito che “non ci prendono più!”.
Il neuroscienziato David Eagleman dice che nessuno di noi può impedire che il presente alteri il passato e racconta dell’esperimento di Elizabeth Loftus che, all’Università della California, si chiedeva: è possibile impiantare ricordi interamente falsi? Intanto che, la prof. selezionava un gruppo di partecipanti per rispondere al quesito, i suoi colleghi carpivano dai loro familiari informazioni sul loro passato con lo scopo di “confezionare” quattro episodi risalenti all’infanzia. Tre erano veri. Uno completamente inventato. Al racconto del fatto, molte di quelle persone confessarono di essere in grado di ricordarlo. E più i giorni passavano, più il ricordo diventava preciso, ricco di particolari e aneddoti. Come fosse reale. Siamo tutti predisposti a questa manipolazione della memoria.
Il ricordo del nostro passato è una ricostruzione che talvolta può confinare con la mitologia e spesso dipende dalle storie che qualcuno ci ha raccontato. Grazie alla tv e a YouTube, il mio cervello ha immagazzinato così tante immagini di quel trionfo azzurro, insieme alle letture, alle decine di racconti famigliari, che alla fine, se ci penso, quel Mondiale mi sembra di averlo vissuto. Come le cose lontane nel tempo. Come l’amore a senso unico per la ragazzina che neanche sapeva della nostra esistenza ma con la quale giureremmo anche a noi stessi di avere momenti condivisi da raccontare. E ancora oggi, quando gioco a carte, penso a Pertini e a mio nonno, che mi hanno insegnato che il ricordo è vita, e l’identità una strana, mutevole narrazione in via di svolgimento. Ed è vero che al Mondiale dell’Ottantadue io non c’ero. Ma me lo ricordo benissimo.
Le prime due puntate della serie "Mundial '82 - noi che non c'eravamo"