Paulo Dybala (Ansa)

il foglio sportivo

La solitudine di Paulo Dybala

Giuseppe Pastore

Da giocatore-franchigia a soprammobile dimenticato, l'ex 10 della Juventus si sta allenando da solo a Miami e le cronache lo raccontano stanco, rassegnato ad accettare le nuove condizioni dell'Inter. pur di concludere al più presto quest’estate da single. Ha pagato l’illusione amplificata dai rintocchi della campana dorata di cui è stato prigioniero

La scorsa settimana, all’imbarco di un volo low-cost tempestato di limitazioni sui bagagli che obbligano i passeggeri a viaggiare leggerissimi, mi è venuto in mente Paulo Dybala. Alla fine della stagione 2019-2020 era stato incoronato Mvp della Serie A e sembrava uno dei pochi attaccanti capaci di un dialogo tecnico con Cristiano Ronaldo; due estati dopo è il simbolo del superfluo, qualcosa che non è più necessario portare a bordo, forse nemmeno consigliato, qualunque sia la destinazione. Al momento pare che comunque prima o poi all’Inter ci finirà, anche se si sta allenando da solo a Miami e le cronache lo raccontano stanco, rassegnato ad accettare le nuove condizioni di Marotta pur di concludere al più presto quest’estate da single. Lo stesso Marotta, d’altra parte, quattro giorni fa si è riferito alla situazione in termini non certo esaltanti: “Rappresentava un’opportunità, ma ora in attacco siamo a posto”. Trovata (forse) la quadra sull’ingaggio, Dybala arriverà (forse) all’Inter non prima della cessione di almeno uno tra Dzeko, Sanchez e Correa.

Cos’è che in due anni ha trasformato Dybala in una specie di pizza di Briatore, attrazione di lusso che passa le giornate fissando lo smartphone come gli adolescenti negli spot delle compagnie telefoniche anni Novanta? 


Da quando il suo nome sul tabellino ha iniziato a lampeggiare come un wi-fi di montagna, la sua leggerezza si è fatta insostenibile. Sempre meno garanzie a innestarsi in un quadro tattico nuvoloso, dal momento che le sue doti fisiche lo rendono imperfetto sia come seconda punta al galoppo accanto a Lukaku sia come trequartista centrale del Milan (là dove Pioli ha alzato lo scudetto con il bullonato Krunic). Beghe che una volta riguardavano gli irregolari, gli incompiuti, non il numero 10 della Juventus. Doveva bastare e avanzare la purezza del gesto, il suono adamantino delle giocate individuali che farebbero comodo all’Inter, che nello scorso campionato è stata la 19esima squadra per dribbling tentati e la 18esima per dribbling riusciti. Ma quelle giocate stanno scadendo: l’ultimo gol su punizione, per esempio, risale a prima del Covid (Juventus-Brescia del 16 febbraio 2020). E l’Inter ci ha messo mezzo minuto a cogliere l’attimo, parcheggiare nel ripostiglio il fioretto di Paulo e rilucidare la katana di Lukaku, che al netto dei 64 gol in due stagioni e delle qualità fuori scala per la Serie A si porta dietro l’aggettivo che fa tutta la differenza del mondo: affidabile.

 

La Juventus non ha più ritenuto affidabile Dybala. In primis Allegri, che in una ridanciana intervista a Dazn ha insinuato il sospetto che si fosse montato la testa a furia di paragoni. Poi a cascata il management, che non s’intende troppo di pallone per bocca del suo stesso amministratore delegato, ma ha imboccato senza molto tatto la strada di una Juve lontana da Paulo. Per continuare con l’intero “calcio che conta” che semplicemente ignora Dybala, dal Real Madrid all’Atletico, dal Bayern al Paris Saint-Germain fino alla Premier tutta, ritmi proibiti alla tenera Joya ancora graffiante nello stretto ma sempre a disagio nelle lunghe vasche da percorrere sui prati inglesi. In Nazionale, schiacciato dal peso di numeri 10 più ingombranti di lui, Dybala ha segnato 3 gol in 34 presenze. Con i club non ha cifre paragonabili non dico a Mbappé o Lewandowski, ma nemmeno a Gabriel Jesus o Gnabry. In carriera Dybala ha segnato appena 5 gol nei turni a eliminazione diretta di Champions, l’ultimo dei quali nel 2018: tra marzo e maggio Benzema ne ha timbrati il doppio. E il suo status attuale su Transfermarkt suona più feroce di qualsiasi critica a mezzo stampa: svincolato.

 

In queste stagioni di passaggio dai 26 ai 28 anni, l’età in cui un attaccante non migliora più a meno di non chiamarsi Karim e imbocca una parabola discendente che dev’essere bravo a frenare il più possibile, Dybala ha pagato l’illusione amplificata dai rintocchi della campana dorata di cui è stato prigioniero, che gli ha fatto credere di essere uno da Pallone d’Oro (miglior piazzamento 15esimo nel 2017, l’anno della doppietta al Barcellona). A sua discolpa si è trovato nell’occhio del ciclone di una Juventus sbagliata in molti modi, dalla velleitaria gestione Pirlo alla restaurazione di un Allegri più prussiano che mai, cosa che deve avere accusato in modo particolare. L’anno scorso per due volte ha lasciato il campo dopo venti minuti, contro Venezia e Sampdoria, in un caso addirittura in lacrime, ma entrambe le volte nel bollettino del giorno dopo c'era scritto: nessuna lesione. Inaffidabile! Paulo, cos’hai? Ti dai una mossa?

 

Superfluo dopo essere stato super-fluo, abbagliante nei micidiali sinistri a giro e nei dribbling in un fazzoletto eseguiti come in apnea. Da due anni a Dybala succedono i contrattempi che capitano alle persone normali, un treno in ritardo, una coda in tangenziale. Il rinnovo con la Juventus era pronto già a ottobre, 8 milioni e 1,5 di bonus, ma non è stato possibile formalizzarlo perché il suo agente Jorge Antun, commerciante di automobili, era ancora in attesa dell’abilitazione del Coni per iscriversi all’albo. Il via libera è arrivato a gennaio, ma a quel punto era già arrivato Vlahovic e la trattativa è diventata una parete verticale. Poi a maggio sembrava fatta con l’Inter, e invece Lukaku. Non vogliamo certo insegnare il mestiere al señor Antun, ma ci chiediamo se la solitudine di Dybala non dipenda anche dal suo singolare procuratore, che rispetto alla concorrenza ha un portafoglio molto più sprovvisto di argomenti e clienti da usare come pedine di scambio.

 

Tanti anni fa, in una Serie A molto più esigente, giocava un fuoriclasse lieve, geniale e problematico che per due volte ebbe il coraggio di scendere di categoria per ritrovar sé stesso, come Lucio Battisti nella brughiera di mattina: si chiamava Roberto Baggio, a Bologna giocò la miglior stagione della vita e a Brescia ci regalò uno dei tramonti più struggenti che si ricordino. Dybala potrebbe considerare l’idea della sterzata spettacolare, dimezzandosi lo stipendio e andando al Napoli, alla Roma, alla Fiorentina o addirittura al Monza; ma non lo farà. È anche da questi particolari che si nota un certo appannamento nella fantasia. Perciò c’è l’Inter che lo aspetta, senza fretta, chissà dove chissà quando. Vista l’iniziale intoccabilità della Lu-La dovrà accettare più panchine di quante siano dovute a un giocatore che nel 2017 veniva così definito da un suo importante dirigente, un certo Beppe Marotta: “Dybala non ha valore, perché un giocatore ha valore solo nel momento in cui pensi di cederlo. L’aumento di stipendio che gli abbiamo riconosciuto va di pari passo con l’aumento di valore del marchio Juventus”. Da giocatore-franchigia a soprammobile dimenticato, un Uovo Fabergé passato di moda. Mettiamola così: non esistono condizioni migliori per progettare una vendetta in grande stile.
 

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