Romagnoli alla Lazio è un fatto emotivo
Finora l’èra Lotito non aveva mai puntato su un potenziale leader che aspettava “da tutta la vita di giocare nella Lazio”. Ora è arrivato il difensore ex Milan cresciuto a pane e Lazio. E che per di più vestirà quel numero 13 che ricorda ai biancocelesti un passato glorioso
Era una storia che alla Lazio non si vedeva da tempo: il giocatore-tifoso, bello de casa, in maglia biancoceleste. Dopo anni di rincorse, scherzi del destino – l’esordio nella Roma, per esempio – e messaggi in codice come quel rigore silenzioso, da capitano del Milan, segnato sotto la curva nord. Alessio Romagnoli non è Alessandro Nesta. “Di più: è il nostro Beckenbauer”, i tifosi già stravedono alla fine delle visite mediche. Però ci mette pure lui del suo, ad alimentare un paragone già scritto. Se non tecnico, emotivo. Quasi a chiudere un capitolo fragile, che dopo vent’anni scottava ancora dalle parti di Formello: il beniamino di ieri costretto ad accettare i rossoneri per salvare le casse societarie, quello di domani che fa il percorso inverso a parametro zero, cinque anni di contratto. L’uno da bambino aveva in camera il poster dell’altro. E oggi ha scelto quella numero 13 che in casa Lazio era una reliquia ormai impolverata.
Sul colpo grosso spingono tutti, a partire dal club. Lancio social in pompa magna, con tanto di video volutamente blurred: Romagnoli voce narrante, mentre scorrono le immagini di Nesta insieme alle sue. “Mai nessuno sarà come Alessandro”, dice. Però ai laziali in questo momento poca importa. Da anni, nell’èra Lotito, hanno visto passare fuoriclasse, campioni del mondo, flop conclamati, delusioni inattese, sogni scudetto infranti e Champions League appena assaggiate. Tutto, fuorché un simbolo in spogliatoio cresciuto a pane e Lazio. Forse l’hanno fantasticato in Murgia e Cataldi, con tanto di gol negli ultimi due trionfi in Supercoppa italiana, abbagli di grandezza. Ma quant’è vero che la carriera di Romagnoli è ben lontana dai fasti di Nesta, i due centrocampisti del vivaio non sono mai andati oltre il gregariato. Non contano 326 presenze nel Milan, dal 2015 a oggi, fino al debutto in Nazionale e al tricolore. La lazialità di Alessio invece fa da cassa di risonanza. Dinamiche capitali, da una sponda all’altra: se dopo Totti la Roma ha avuto De Rossi, Florenzi, Pellegrini, i biancocelesti stavano ancora aspettando. E ci guadagnerà il derby.
Lo sa bene Romagnoli, 27 anni da Nettuno, che conobbe il calcio attraverso la grande Lazio di Eriksson e ora sente leggerezza più che responsabilità. Sarà perché gli esempi incontrati lungo il cammino gli dicevano che era possibile, da giallorosso finire aquilotto o viceversa: a lanciarlo, nemmeno diciottenne, fu Zdenek Zeman. Poi la consacrazione, fra Samp e Milan, con Sinisa Mihajlovic in panchina. Fu il serbo per primo, ex pilastro di quella Lazio, a sostenere che “Alessio ha tutto per diventare il nuovo Nesta”, aridaje.
Quello che conta è il presente. Oltre che totem, Romagnoli sarà il leader difensivo cercato da Sarri per rifondare un reparto che aveva parecchi problemi: 69 gol subiti nella scorsa stagione. Insieme a lui sono arrivati i centrali Casale e Gila, da Hellas Verona e Real Madrid, più il portiere Maximiano. E a centrocampo Marcos Antonio: pure l’onomastica stile Spqr non si vedeva dai tempi di César Aparecido. Ma soprattutto questi 40 milioni e passa di campagna acquisti, strappo all’austerity lotitiana. Una rampa di lancio per riavvicinare quei tifosi in costante attesa del salto di qualità. Ci vorrà tempo, l’estate è lunga. L’entusiasmo non si riflette ancora in abbonamenti venduti – pochi, siamo a 7.500. Eppure, dai martedì sta cambiando il vento anche nei confronti della società. Intanto sui social, domani chissà. Se l’Olimpico biancoceleste sarà di nuovo pieno, chiamatelo effetto Romagnoli. A Nesta mica toccò tale fatica.