Joya Romana
La splendida americanata che ha consacrato Dybala al Colosseo Quadrato
Entusiasmo smisurato e un’atmosfera da sogno di una notte di mezza estate, ma senza l’artificiosità e il distacco tipici degli eventi negli Stati Uniti: la presentazione del nuovo attaccante esorcizza le maledizioni della Roma, che adesso vuole pensare in grande
Dalle immagini panoramiche sembrava una veduta aerea di Washington. Il Palazzo della Civiltà italiana (ieri più che mai Colosseo Quadrato) al posto di Capitol Hill, con l’aria afosa tinta di giallorosso tra luci, sciarpe e fumogeni. Infatti, la presentazione ufficiale di Paulo Dybala di ieri sera è stata una splendida americanata, senza l’artificiosità e il distacco che solitamente le americanate veicolano, ma condita da un entusiasmo smisurato in un’atmosfera da sogno di una notte di mezza estate. Essere romanisti oggi è infatti un sogno perché si trovano di colpo alienate tutte quelle congiunzioni astrali che permettono di scacciare incubi ricorrenti per immaginare l’inizio di una nuova èra.
La maledizione seriale di una finale di coppa, finita due mesi fa con la vittoria di Conference league contro il Feyenoord. La maledizione estiva del campione dato per certo, felice di arrivare e di aver scelto la Roma, sembra aver già firmato, tutto è fatto, la città è pronta… poi a mezzo stampa, pallido come la rettifica di un errore giudiziario, si legge che il campione non arriva. Troppe volte, troppi nomi hanno alimentato le innumerevoli radio romane che per colmare pomeriggi vuoti, buttano benzina su un ambiente già bollente di suo. Questo arrivo rappresenta la fine di un rapporto morboso e spesso doloroso che il tifoso della Roma ha con il mercato? Maledizioni esorcizzate, c’è ora “tanta fame di Roma”, a Roma, come si è visto la notte tra il 21 e 22 luglio per le piazze del centro. E’ il compleanno della società, nata nel 1927, e migliaia di tifosi hanno invaso per tutta la notte i monumenti storici della città. Segno di un’appartenenza indissolubile con la squadra che non credo esista altrove.
La Roma nella sua tradizione e nella sua mistica ha sempre unito giocatori romani ultra rappresentativi (Losi, Rocca, Di Bartolomei, Giannini, Totti, De Rossi) a giocatori stranieri adottati al punto di trasformarli in icone (Volk, Falcao, Cerezo, Voeller, Batistuta, Aldair). La presentazione di martedì sera si inserisce quindi in un filone storico di arrivi messianici per i tifosi romanisti, cadenzati ogni ventennio. Un altro Paulo, Paulo Roberto Falcao che, il 10 agosto 1980, appena sbarcato dal cielo gli regalano due simboli in tinta giallorossa, un mazzo di fiori e uno zuccotto in lana. Un’incoronazione ufficiale, prima ancora di calcare il campo, prima ancora di proferire parola. Roma gli disse, “tu sei il nostro re, l’ottavo re che Roma aspettava da un eternità”.
Prima di Falcao c’è stata una Roma, dopo, “La Magica” che educò intere generazioni di romanisti, compresa la mia. Se compravi tutti insieme 5 kg di pasta Barilla, sponsor della squadra, ti veniva regalata la maglia di Falcao. I confini dentro e fuori lo stadio, sacro e profano erano stati ampiamente superati. Quella squadra portò presto allo scudetto, che il presidente Viola descrisse come “la fine della prigionia del sogno”. E’ il 6 giugno 2000, vent’anni dopo, un altro argentino, Gabriel Omar Batistuta viene presentato allo stadio Olimpico, davanti a una curva sud colma di gente, d’amore e baciata dal sole. Fa caldissimo, di nuovo. “Sono qui per vincere”, dice Batistuta e calcia il pallone ai tifosi. Di lì a poco la Roma conquisterà di nuovo lo scudetto. La suggestione del tifoso romanista all’arrivo di Batistuta è la stessa vista con l’arrivo di Dybala. Una suggestione rafforzata dal bisogno di un popolo sempre in cerca di un condottiero che faccia luce tra le oscurità della città. Dopo Totti e De Rossi, il vuoto forse si sta colmando, incarnato nella persona nuova che chiedeva un tifoso simbolo come Antonello Venditti.
Una cosa è certa, l’appena arrivato capirà cosa vuole dire essere amato, con tutti i rischi che ciò comporta. Per aggiungere mistica al culto della figura, Dybala è cresciuto con la passione per la storia dell’antica Roma, il suo segno di esultanza è figlio del film “Il Gladiatore”. Panem et circenses e stile entertainment all’americana. Roma non chiede di meglio. Non si era mai vista una società che interpretasse così bene il valore della tradizione, sulla quale si fonda la città eterna e una visione professionista dell’industria calcistica odierna. Se così fosse, ben vengano le americanate, tanto allo stadio gli hot dog hanno già rimpiazzato le pizzette.