Tutti quegli intrusi del calciomercato
Dal fratello di Pogba a Honda, giro del mondo tra le meteore del pallone. Un account Twitter racconta le carriere più folli
Nei giorni eternamente convulsi del calciomercato tutti i nomi possono essere messi in mezzo. Tutti possono essere venduti come sogni e tutte le domande sono lecite, anche le più insensate. Per esempio: dove giocherà quest'anno il fratello di Pogba? Cosa è andato storto nella carriera di Harmony Ikende? Quali nazioni mancano a Keisuke Honda?
Questa è una storia di intrusi, alcuni chiamati meteore proprio per la loro capacità di comparire e poi andare via lontano, ma anche di carriere strambe di inspiegabili giramondo, mezzi bidoni oppure talenti che vanno bene solo se nel posto giusto, ammesso che facciano in tempo a trovarlo. È un filo che non si riesce a districare immaginando di entrare nella testa di alcuni calciatori che un curriculum ce l'hanno, ma vallo a capire.
Sotto il calciomercato dei grandi se ne sviluppa uno dei presunti tali, o anche semplicemente minore, di gente che non ci pensa due volte prima di firmare per una nuova squadra, forse senza nemmeno chiedere in che serie gioca e di che nazione si sta parlando.
Sono un po’ tutti come Mazinho, uno dei campioni del mondo del Brasile del 1994 e padre di Thiago Alcantara e Rafinha, che lasciò il Vasco de Gama volando verso l’Italia convinto di essere a un passo dal Pescara, senza che nessuno lo avesse avvisato che, invece, era il Lecce ad averla spuntata e averlo acquistato. Così arrivò in Salento, e una delle prime cose che disse, ignaro, fu “che bella Pescara”. Ma quelli erano altri tempi e il destino dei giocatori lo decidevano i club. E questi di cui stiamo per parlare, che scusa hanno?
Non si fa domande l’account Twitter che ha deciso di raccattare in giro per la rete i giocatori con le carriere forse con meno senso tra chi ha scelto di fare questo mestiere. Almeno, quelli che hanno una pagina di Wikipedia. Si chiama “Carriere dei calciatori su Wikipedia” (lo trovate così: @calciatoriwiki) e non ha parole. Twitta, con cadenza irregolare, screenshot di carriere di calciatori che molti non conoscono o che hanno perso di vista, purché siano capaci di saltare dalla Polonia all’Inghilterra, da Dubai, alla Turchia, dalla Spagna, all’Australia in una sola vita professionale. Percorsi che a leggerli nemmeno riesci a crederci, e fanno sorridere perché le destinazioni sembrano così casuali da sembrare decise da un bussolotto; o come quando, annoiato da ore passate a giocare al pc a Football Manager, cominci a provare i campionati più disparati, per vedere l’effetto che fa. Solo che questi lo fanno come lavoro.
Il fratello di Pogba, si diceva. Che tanto per iniziare è guineano, si chiama Mathias, e a un certo punto della carriera è piombato a Pescara (era l’estate del 2014), accompagnato dagli squilli di tromba del gruppo di Mino Raiola, che è stato il procuratore anche di Paul fino all’ultimo, e che fece pensare che questa fosse una base per trattenere per sempre il fratello minore, quello bravo, in Italia (che invece due anni dopo è andato al Manchester United e ci è tornato solo l’altro ieri). Il fatto che ora Mathias venga più che altro interpellato per conoscere gli umori del “Polpo”, sapere se sta bene in una squadra o se pensa di andar via, danno l’idea di come il calcio non sia proprio stato un successo per lui. Però ci ha provato, partendo dalle giovanili del Celta Vigo per poi passare dal Quimper (in Francia), dalle basse categorie di Inghilterra con le maglie di Wrexham e Crewe Alexandra e poi, dopo Pescara, provarci in Scozia, Olanda, Francia, Spagna, Slovenia, fino al campionato scorso con il Belfort, quarta categoria francese, dove il presidente a un certo punto si è pentito: “Abbiamo sbagliato a prendere Mathias Pogba”, ha detto. “È l’uomo sbagliato per questo lavoro”.
Quando arrivò a Pescara, Mathias Pogba fu annunciato dal fratello, che su Twitter pubblicò la foto della firma del contratto (leggero: ventimila euro a stagione più bonus, una specie di apprendistato) e scrisse “I Pogba invadono l’Italia”. Mathias giocò 24 minuti in quattro partite, poi a gennaio se ne andò.
Scorrendo l’account con calma e un’altra scheda del browser aperta passano storie che non sembrano vere: come quella di Gai Assulin, israeliano che nella cantera del Barcellona pensavano potesse diventare il nuovo Messi, che Guardiola lanciava in prima squadra e che nell’ultimo campionato è retrocesso dalla D italiana, tesserato a gennaio scorso dall’Unipomezia. In mezzo il Manchester City (ma senza giocare), il Brighton, qualche tentativo in Spagna, e anche Israele, Kazakistan, Romania, prima di arrivare in Italia, al Crema, in Serie D. Un po’ come Harmony Ikande, che è partito dalle giovanili del Milan e l’ultimo campionato lo ha fatto nell’Oman, ma tra le sue strane tappe, oltre molte stagioni nel torneo israeliano, ci sono Ungheria, Bosnia, Ucraina e Nigeria.
Chi dice che il calcio è un linguaggio universale, forse in questo caso si accorgerebbe dell’esasperazione del concetto. Che lingua deve imparare chi passa dalla Bosnia alla Nigeria? E quanto veloce dev’essere il processo di ambientamento se dal Kazakistan poi arrivi a giocare a Crema, nella bassa Pianura Padana.
Qui parliamo di carriere spese sugli aerei più che sui campi, di promesse non mantenute, di grandi misteri. Per esempio: chi ricorda Keisuke Honda? Il primo giapponese a vestire la maglia del Milan, nemmeno un giocatore qualsiasi, ma con un discreto potenziale. Arrivato in rossonero nel gennaio 2014, ha indossato la maglia numero dieci per tre stagioni e mezzo, poi o ha vinto quella lotteria istantanea che ti fa diventare turista per sempre oppure è difficile che si riesca a giustificare una carriera continuata toccando Messico, Australia, Olanda, Brasile e Azerbaigian. Eccoli, gli intrighi di mercato che vi mancano, quelli che non finiscono in evidenza perché non si parla certo di assi, ma di quelli che girano il mondo così, di carriere così casuali e disordinate da non sembrare credibili. Serviva un account Twitter per metterle in fila, mostrare un mondo sommerso. Ogni carriera come uno schiaffo: nome, cognome e tutte le squadre attraversate, e storie che si leggono scrollando squadra per squadra. Come se aspirassero a diventare Lutz Pfannestiel, ex portiere tedesco nel Guinness dei primati per essere l’unico ad aver giocato in tutte le sei confederazioni Fifa e per aver giocato in venticinque squadre di tredici paesi diversi del mondo. Ora, per capire di cosa stiamo parlando, fa il direttore sportivo. Dove? Negli Stati Uniti, al St. Louis City, squadra che giocherà la sua prima partita in Mls nel 2023. Un’altra scommessa. Ma lui è Unhaltbar, che in tedesco vuol dire inarrestabile ed è il titolo del libro che ha pubblicato anni fa in Germania. E forse meriterebbe un account a parte.