Foto LaPresse

Tom è uscito dal gruppo

L'addio al ciclismo di Dumoulin e la pace dell'ombra oltre il proscenio

Giovanni Battistuzzi

C’è qualcosa nel corridore olandese che supera le vittorie ottenute e che lo ha reso speciale per molti. E non è solo la bellezza del vederlo pedalare

Qualche altro mese di pedalate, poi basta, aveva detto. Il tempo per provare a centrare l’ultimo obiettivo: il Mondiale a cronometro, e poi chissà, magari quello in linea. Un’altra maglia bianca con i colori dell’iride, a tanto sarebbe servito questo tempo. Sarebbe stato un bel modo per salutare, per imboccare davvero l’ombra che sta dopo il proscenio. Non chiedeva nient’altro che quell’ombra Tom Dumoulin. Non ha resistito, ha deciso di abbracciarla subito, “con effetto immediato”.

 

Sarebbe potuta andare diversamente la carriera di Dumoulin. Perché salutare il ciclismo a trentun anni era qualcosa che sino a quattro anni fa era difficile da poter solo immaginare. Aveva vinto un Giro d’Italia, era arrivato secondo sia al Giro che al Tour de France, era tra i più forti corridori nelle corse a tappe. Poteva agguantare tutto. Poteva, ma è andata diversamente. Tant’è.

 

C’è qualcosa in Dumoulin che supera le vittorie ottenute e che lo ha reso speciale per molti. La bellezza del vederlo pedalare, quella eleganza in bicicletta, quel modo di stare in sella che rendeva subito chiaro, bastava un’occhiata, che esistono esseri umani che su una bici stanno meglio di altri, perché quella è la loro dimensione. Era potente e leggero, violento e delicato, tesi e antitesi, cioè sintesi dell’armonia ciclistica. E quando scendeva dalla sella era lo stesso. Come se per una volta, capita mica così spesso, la bici fosse nient’altro che lo specchio della persona e non solo un mezzo per arrivare a qualcosa. Perché in quegli occhi tra l'azzurro e il grigio, in quello sguardo scaltro e fugace, fuggitivo di natura, c’era, e c’è sempre stata, quella strana luce di chi si chiede se fosse quello il posto giusto dove stare, se non ci fosse un altrove migliore.

 

Si è sempre visto altrove Dumoulin. Avrebbe fatto volentieri altro, non ha mai sognato di diventare un corridore, figurarsi un campione. Corridore lo è diventato, un vincente pure, ma sempre come se non fosse quello il luogo giusto nel quale stare. È diventato tutto questo con quei modi delicati di chi sa che serve essere onesti con se stessi prima che con gli altri, di chi sa che la vita è piena di strade e non bisogna per forza fossilizzarsi su di una sola. Quell’altrove l’aveva catturato già nel gennaio del 2021. Aveva spiegato con candore i suoi dubbi, le sue paure. Era però tornato perché la gioia di pedalare era sempre grande, quella di prima. C’è però pedalare e pedalare e non è detto che farlo per cercare una vittoria sia lo stesso che farlo per se stessi. A volte basta la seconda, anche se sembra assurdo per chi avrebbe voluto invece dedicarsi alla prima e non c’è mai riuscito. C’è altro e quest’altro può essere magnifico ancor più di vestire la maglia rosa sul gradino più alto del podio dell’ultima tappa del Giro. Questione di priorità, questione di ciò che ci rende felici per davvero.

 

“Ho lavorato duro, ci ho messo passione, ne ho ricavato piacere e ho realizzato grandi prestazioni. Adesso è il momento di gustarmi altre cose ed essere presente per le persone che amo”. Ha salutato così Tom Dumoulin, ha chiuso così il suo viaggio nel ciclismo. È stato un gran bel viaggio, Tom.

Di più su questi argomenti: